La tragedia della Costa Concordia mi ha turbato. Ho provato a riflettere su questa sensazione dolorosa, in fondo dopo trenta e passa anni di questo mestiere ne ho viste parecchie di vicende dolorose che sei costretto a raccontare lasciando da parte i sentimenti per mettere nero su bianco o tradurre in immagini tv quello che il pubblico vuole sapere. Forse il fatto che ho un figlio che fa il cuoco su una nave simile a quella affondata e che in queste ore è da qualche parte del mondo a preparare pasti e cene per migliaia di croceristi mi sta influenzando. Può essere e non ci sarebbe nulla di male. Ma la sensazione non è solo legata all’improvvisa preoccupazione di un padre, all’immedesimazione con le famiglie di coloro che hanno constatato o temuto per la perdita di un loro caro. No, è qualcosa che va oltre e che mi fa stare male in modo diverso.



Provo dunque a spiegarvi, se a qualcuno poi interessano queste riflessioni. Domenica mattina una cronista molto giovane di una tv ha detto in una diretta, riferendosi al comandante della Concordia, da poche ore arrestato con terribili accuse: «L’uomo che ha ucciso almeno cinque persone». Dunque un assassino, un reprobo, un uomo poche ore dopo la tragedia già processato e condannato, senza difesa alcuna, senza avere fatto un minimo di riflessione, uno studio men che superficiale di ciò che realmente è accaduto in quel tratto di mare. E come si spiega questo atteggiamento giustizialista? Perché ancora nel pieno delle ricerche di altri eventuali superstiti il capo della Procura di Grosseto, anziché trincerarsi dietro il segreto istruttorio di un’inchiesta che non potrà essere rapida, senza avere avuto alcun rapporto tecnico, senza una perizia, nulla di nulla, aveva detto ai giornalisti che il capitano aveva compiuto una manovra maldestra e dato che avrebbe potuto fuggire ne era stato chiesto l’arresto. Una sentenza sommaria immediata.



Ora, può essere che il comandante Schettino, dopo oltre dieci anni di conduzione di questi giganti del mare, si sia all’improvviso macchiato di tanta infamia, con l’aggravante, oltre ad essere stato maldestro, di voler scappare dalle proprie responsabilità? Possibile che nessuno si ponga queste domande, abbia un minimo di dubbio, prima di uccidere un uomo di 52 anni, da tanto tempo sui mari di mezzo mondo con la responsabilità enorme della sicurezza di oltre 4.000 passeggeri?

Si è detto che il numero dei salvagente era insufficiente. Che il personale di bordo era incompetente, che durante le prime concitate fasi del naufragio imminente erano state date informazioni tranquillizzanti. Che dovevano dire? Signore e signori stiamo affondando, si salvi chi può? O cercare di tranquillizzare la gente affinché non scoppiasse, come poi è accaduto, il panico? E siamo davvero certi che il caos non sia stato causato proprio dal panico e dall’isteria collettiva, con scene drammatiche puntualmente raccontate da molti superstiti di persone che impedivano a donne con bambini piccoli di prendere posto sulle scialuppe, nel tentativo molto umano ma anche molto vigliacco di salvare in primis la propria di pelle, lasciando al destino crudele altre vite umane, in quel momento più inermi e deboli? Perché tutto questo non viene raccontato?



Tutti a pontificare sulla generosità dei gigliesi, fiumi di retorica, salvo poi venirci a dire che il sindaco in persona aveva chiesto alla Costa Crociere di far transitare questi giganti davanti all’isola per accontentare il desiderio dei turisti di immortalare il colosso illuminato come il Rex di felliniana memoria. Invece dovrebbe essere questo il momento del silenzio e per chi può della preghiera.
Della riflessione sui tanti lavoratori del mare, spesso dimenticati e abbandonati da sindacati e istituzioni, quante denunce ho ricevuto in questi mesi per la mia rubrica in tv, l’Indignato speciale. Ho dedicato una puntata ai loro problemi e ancora oggi mi fermano per strada per ringraziarmi per il solo fatto di avere dato loro voce.

Siamo ormai schiavi dell “ultima ora”. Quella scritta che compare ogni secondo sui nostri schermi tv per informarci non degli sviluppi di una situazione, ma per gridare l’ultima verità eclatante, l’ultimo strillo di uno spettacolo che può diventare osceno. Non ci poniamo più domande, non abbiamo più dubbi. Siamo diventati tutti procuratori, non aspettiamo più le sentenze di un giudice, pronti a gettare la corda col cappio al primo albero per impiccare il malcapitato.

Non so a voi, ma a me tutto questo finisce col fare un po’ schifo.