Arrivato con mezz’ora di ritardo, Vittorio Sgarbi non ha disdegnato di dar vita, fuori dalla Chiesa dove si sono celebrati i funerali di don Verzé, ad uno dei suoi soliti siparietti. E, prima di entrare, si è messo a litigare con alcune persone. Una sfuriata soft, tutto sommato; rispetto, per lo meno, a quelle a cui ci ha abituato nel corso degli anni. Ad una persona che aveva fatto riferimento all’inchiesta sul San Raffaele che ha coinvolto il prete 91enne, Sgarbi non ha saputo resistere ed è partito con gli insulti: “don Verzé era innocente e tu sei un cane!”. Si trattava, probabilmente, di un semplice passante dalla lingua troppo lingua. Ma Sgarbi, data l’insistenza del suo interlocutore, ha continuato a inveire e puntandogli il dito contro, l’ha insultato ripetendo: “don Verzè era innocente”. Poi, ha aggiunto: “tu, invece, sei colpevole della tua stupidità”. Insomma, don Verzè non glielo si deve toccare.
Del resto, è sempre stato lui a dirsi convinto che fosse una cosa immonda, da parte della magistratura, indagare un uomo di 91 anni che ha salvato tante vite umane. Inchiesta che, per inciso, secondo Sgarbi è scaturita dall’unica colpa di essere amico di Berlusconi. Spingendosi oltre, il critico d’arte ha ipotizzato che non si possa escludere il fatto che la morte del sacerdote non sia stata del tutto naturale. Potrebbe essere– ma è solo una sua ipotesi rilasciata ad Affari Italiani – che qualcuno dei suoi medici gli abbia dato un caffè avvelenato. Ma che il fondatore del San Raffaele fosse favorevole all’eutanasia è cosa nota. Dal canto suo, il vescovo di Verona, monsignor Giuseppe Zenti, nell’omelia per il funerale, ha fatto presente che «come tutti i geni» don Verzè era «disposto a riconoscere di aver debordato». Secondo il vescovo di Verona, in questi mesi è stato gettato del fango sulla figura del sacerdote per nulla meritato. Di certo non disdegnava gli applausi, ha ammesso, ma «ha anche conosciuto – ha aggiunto – i momenti del tabor e del calvario». In sostanza, secondo Zenti, si è deciso di analizzare la sua personalità a spicchi, senza contemplarla nella sua globalità né a partire, tantomeno, dal vissuto interiore del sacerdote.