Caro direttore,
Il Movimento dei Forconi ha messo in ginocchio per una settimana l’economia e la società siciliane finendo per contagiare l’intera Penisola. Nell’Isola la protesta s’è manifestata come la “rivolta della pancia vuota” per una crisi arrivata a livelli insopportabili, ma anche come la rivolta del disagio sociale e della rabbia contro la latitanza della politica nazionale e regionale. Il tutto per uno scollamento divenuto insopportabile fra i temi del dibattito pubblico e la dura realtà, contrassegnata da un numero crescente di famiglie siciliane sul lastrico e da interi settori economici – dall’autotrasporto alla pesca per finire all’agricoltura – in difficoltà estrema.
Eppure nessuno, in questa circostanza, ha pensato di scrivere lettere ai grandi maestri dell’ideologia per sapere se l’attuale rivolta sia l’anticamera di una vera rivoluzione. L’iniziativa di Anna Kuliscioff – era anche allora gennaio, ma del 1894 – di porre un quesito nientemeno che a Engels sulla natura rivoluzionaria dei Fasci siciliani e se i socialisti italiani dovessero sposare la protesta, non ha trovato imitatori.
La Sicilia brucia. Ma niente sembra richiamare i fatti del 1893-94 e nemmeno la grande vampata del Separatismo, che infiammò le campagne subito dopo lo sbarco degli Alleati e che arrivò a proporre l’ammissione dell’Isola nientemeno che fra gli Stati Uniti d’America.
No, stavolta per quanto la situazione sociale ed economica sia gravissima, il progetto politico passa quasi in secondo piano. Dominano, invece, la rabbia per una condizione di miseria non più sopportabile e una cultura assistenzialista, che si aspetta risposte solo dall’alto.
Nelle vicende siciliane di questi giorni è stata finora totalmente assente la politica. Tanto che il commento più azzeccato è in una vignetta di Totò Calì pubblicata sul quotidiano “La Sicilia” il 21 gennaio scorso che raffigura una scialuppa con un politico vicino all’Isola e una voce fuori campo che intima: “Salga sulla Sicilia… c….”.
Anche in questo caso la rivolta dei Forconi è diversa dai suoi precedenti storici. I Fasci siciliani sollecitarono la creatività del movimento cattolico (Luigi Sturzo, in particolare) e del movimento socialista a individuare risposte dal basso alla gravità dei problemi. Fu allora che nacquero nell’Isola centinaia di cooperative agricole, centri di mutuo soccorso e casse rurali per combattere l’usura praticata dai gabelloti e gli alti costi degli affitti imposti dai latifondisti.
Il separatismo, d’altra parte, sollecitò la classe politica siciliana a ipotizzare (e portare in porto) il progetto dell’Autonomia speciale.
La rivolta del 2012 rischia, invece, di degenerare in una protesta rabbiosa, senza progetto e con i suoi leader in guerra fra loro.
È proprio in queste circostanze che la politica, nazionale e regionale, dovrebbe svolgere interamente il proprio ruolo. Anzitutto cercando di capire la natura del disagio, che è reale e profondo. Il problema dell’Isola non è solo l’alto costo dei carburanti che mette in ginocchio intere categorie. È, anche e soprattutto, il dramma della questione giovanile: la disoccupazione nella fascia d’età 18-35 anni è al 40%, l’emigrazione intellettuale ha ormai preso i connotati di una emorragia inarrestabile, il tasso della mortalità scolastica è il più alto d’Italia, la formazione professionale è praticamente inesistente.
In questo clima da ultima spiaggia, l’attività amministrativa della Regione è rimasta paralizzata dai ritardi nella nomina dei direttori generali e da una distanza abissale fra il dibattito politico (tutto focalizzato sul tema Lombardo-sì, Lombardo-no) e i problemi urgenti dell’Isola.
Domani (mercoledì) il governatore Raffaele Lombardo sarà ricevuto a palazzo Chigi dal premier Monti, col movimento dei Forconi ancora a protestare.
Non basteranno alcune concessioni del governo (sulla defiscalizzazione del carburante o sulle tasse agli agricoltori) a sanare la ferita della società siciliana. C’è da augurarsi che la politica, fuori dalle logiche assistenziali, si accorga della gravità della situazione e offra risposte concrete all’Isola che affonda, valorizzandone il capitale umano e la sua posizione strategica nel Mediterraneo.