L’Oms definisce l’aborto una pratica sicura, e nello stesso tempo certifica che dal 2003 al 2008 nel mondo sono avvenute 43 milioni e 800mila interruzioni di gravidanza l’anno. “Sarà in parte sicura per la donna e per il partner, ma certo non per il figlio, dato che abbiamo avuto 263 milioni di aborti in sei anni”. Carlo Bellieni, neonatologo dell’Università di Siena, commenta così l’ultima ricerca pubblicata sulla rivista Lancet dall’Oms e dal Guttmacher Institute, un ente Usa pro-aborto. Dallo studio emerge che nei Paesi dove l’aborto è legale il numero di interruzioni di gravidanza sarebbe più basso rispetto a quelli dove questa pratica è penalmente perseguibile. Per Bellieni però “pretendere di calcolare in modo esatto il numero di aborti nei Paesi dove sono illegali, è un po’ come cercare di individuare quanti italiani evadono le tasse: qualsiasi ricerca di questo tipo ha serie lacune scientifiche. Inoltre in Occidente le statistiche sull’interruzione di gravidanza non tengono conto di quelle che le donne praticano a casa loro tramite la pillola abortiva”.
Proprio ieri nel frattempo Reuters Online ha anticipato un articolo realizzato da Gynuity Health Projects e pubblicato da Obstetrics & Gynecology, da cui risulta che il rischio di morte da aborto sarebbe inferiore rispetto a quello del rischio parto. Tra il 1998 e il 2005 sarebbe morta di parto una donna per ogni 11.000 bimbi nati vivi, mentre è morta per complicazioni dovute ad aborto chirurgico una donna ogni 167.000. Anche su questi dati abbiamo chiesto l’opinione del professor Bellieni.
L’Oms ha definito l’aborto “una pratica sicura”. E’ veramente così?
L’aborto sicuro non esiste. E non solo perché porta rischi per la psiche della donna, ma anche perché conduce alla morte del bambino. Quindi parlare di interruzione di gravidanza sicura è un controsenso, se per “sicuro” si intende che non provoca dei danni. Quantomeno, bisognerebbe prima chiedere a quell’essere vivente che cosa ne pensa.
Per quali motivi l’aborto presenta dei rischi per la psiche della donna?
A livello psichiatrico, sono diversi gli studi che dimostrano l’esistenza di rischi importanti per la psiche della donna che ha avuto un aborto volontario. E che sono decisamente superiori rispetto a quando una donna perde un bambino per un aborto spontaneo.
Che cosa ne pensa della tesi dell’Oms, secondo cui nei Paesi dove l’aborto è illegale le interruzioni di gravidanza sono più numerose?
La ricerca va sempre rispettata, ma questi dati sono inficiati dal fatto che nei Paesi occidentali non tutte le interruzioni di gravidanza sono registrate, in quanto molte di esse sono compiute attraverso interventi farmacologici a domicilio.
Quali in particolare?
Tra questi ci sono la pillola del quinto giorno, la RU486, oltre a vari strumenti anticoncezionali che hanno un effetto anche abortivo. Ciò riduce le interruzioni di gravidanza registrate in ospedale, ma non il numero di aborti complessivi. Un’altra perplessità legata alla ricerca è che non si capisce come faccia a essere così precisa nel calcolare la percentuale di aborti nei Paesi dove questa pratica è illegale. E’ difficile infatti che una persona racconti spontaneamente di avere compiuto un reato, perché rischia di finire in carcere. E’ un po’ come pretendere di compiere un sondaggio per scoprire quante persone evadono le tasse: è molto difficile che gli intervistati raccontino la verità. Per fare un esempio ancora più calzante, la ricerca di Oms e Guttmacher Institute assomiglia a quelle che affermano che il 10% dei neonati nasce da un uomo diverso dal marito della moglie. Questi dati evidentemente sono criticabili dal punto di vista scientifico.
Secondo la ricerca dal 1995 al 2003 gli aborti sono diminuiti, per poi stabilizzarsi. Quali sono i motivi di questa tendenza?
Questa tendenza si spiega appunto con l’introduzione della pillola abortiva, che provoca delle interruzioni di gravidanza che non sono registrate ufficialmente. Tra il 1995 e il 2003 c’è stato un ingresso massiccio di queste pillole sul mercato, che hanno fatto diminuire gli aborti chirurgici. Quindi negli anni successivi la situazione si è stabilizzata.
Per quale motivo l’Oms ha scelto di collaborare con istituzioni pro-aborto come il Guttmacher Institute?
Il ricercatore che fa bene il suo lavoro, deve per definizione essere neutrale e non avere conflitti d’interesse. Per me quindi uno studio serio può essere realizzato da una persona di qualsiasi religione, basta che sia onesta con i dati che trova. E’ questo che va verificato, non la posizione “politica” del Guttmacher Institute.
Esistono altre motivazioni per cui gli aborti potrebbero essere più elevati nei Paesi emergenti rispetto all’Occidentali?
Nei Paesi occidentali esistono dei livelli di sterilità elevatissimi. E quindi le donne abortiscono di meno, per la semplice ragione che non riescono più a concepire i figli. Su questo incide lo spostamento dell’età feconda dai 20 ai 30 anni, infezioni crescenti nella popolazione, ma soprattutto l’effetto prodotto da pesticidi, solventi ed emissioni inquinanti. Tutti problemi che in Africa non esistono, tanto è vero che il tasso di fecondità e di riuscita del concepimento per una donna è molto più elevato. Quello della sterilità in Occidente è un vero dramma, al punto che migliaia di coppie ricorrono alla fecondazione in vitro.
Davvero i livelli d’inquinamento in Europa sono così elevati da creare seri problemi al concepimento?
Assolutamente sì. Due anni fa ho pubblicato il libro “Una gravidanza ecologica”, scritto insieme a Nadia Marchettini, una professoressa di chimica dell’ambiente, in cui si approfondisce questo problema. L’arsenico presente nel legname, il mercurio che si trova nei pesci, il cloro nelle piscine, gli idrocarburi nell’aria, le tinture per i capelli, i campi elettromagnetici ma anche i lavori usuranti svolti dalle donne sono tutti dei gravi fattori di sterilità.
Che cosa ne pensa invece della ricerca di Gynuity Health secondo cui l’abortire sarebbe più sicuro che partorire?
Sono dati che in primo luogo non fanno onore agli Stati Uniti, perché la mortalità da parto in Italia è molto più bassa. Negli Usa è di una donna su 11mila mentre in Italia, secondo quanto afferma il sito del ministero della Sanità, è pari a una donna su quasi 40mila, con punte nel Nord Italia di una ogni quasi 50mila. Bisogna quindi lavorare non tanto per garantire l’accesso all’aborto, ma per rendere il parto più sicuro. Mentre negli Stati Uniti evidentemente le strutture sanitarie sono ancora molto lontane dai livelli della sanità italiana. Occorre infine sempre ricordare non solo che l’aborto non mette a rischio solo la vita della madre ma anche quella del feto, ma anche che le donne dal parto escono felici e contente, mentre dopo un aborto è difficile se non impossibile che nutrano questi sentimenti.
(Pietro Vernizzi)