Una nuova delibera dell’Unione europea per dire no all’eutanasia. È stata approvata dall’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, e afferma che qualsiasi pratica “intesa come uccisione volontaria per atto o omissione di un essere umano in condizioni di dipendenza a suo presunto beneficio, deve essere sempre proibita”. Una scelta che ha ottenuto il plauso dell’Osservatore Romano, secondo cui dal 2010 a oggi “è la terza volta che da Strasburgo arrivano decisioni orientate alla difesa della vita”. Per Francesco D’Agostino, membro del Comitato nazionale di bioetica e professore di Filosofia del diritto nell’Università Tor Vergata di Roma, “per quanto quella del Consiglio d’Europa sia un’affermazione forte in linea di principio, non dobbiamo illuderci che ci fornisca una copertura decisiva nei confronti dell’eutanasia”.
Professor D’Agostino, perché la presa di posizione del Consiglio d’Europa non la soddisfa?
Mi fa molto piacere che ci sia questa affermazione così forte in linea di principio. Quello che per me va sempre ribadito, anche in questo caso, è che nelle questioni essenziali di bioetica non è sufficiente seguire indicazioni sia pure autorevoli di carattere politico, parlamentare o internazionale. La volontà politica dei governi, dei parlamenti o delle assemblee è palesemente mutevole, e quello che oggi può essere rigettato può essere invece accettato a brevissima distanza di tempo. Noi dovremmo con molta fermezza e serenità rivendicare un carattere naturale di certi principi non negoziabili in campo bioetico e non illuderci che la copertura di una delibera in campo parlamentare, sia pure autorevolissima, possa fornire l’argomento decisivo per dire di no all’eutanasia. Nel momento stesso in cui ci compiacciamo che questi organismi prendano certe posizioni, dobbiamo riconoscere che le stesse istituzioni possono dire di sì all’aborto, come pure ad altre pratiche inaccettabili.
Non le sembra di stare mescolando piani differenti?
Niente affatto. Il rischio è che l’obiettivo di queste delibere sia farci abbassare la guardia e demandare a organi politici assembleari, nazionali o internazionali, la soluzione pratica di questioni vitali. Facendoci così perdere la specificità di questi problemi che non è legale né politica, ma che riguarda innanzitutto una maturazione etica e bioetica delle coscienze.
Dal momento che l’eutanasia è un reato equiparabile all’omicidio, in che senso non si tratta di un problema politico e legale?
Il problema è la qualificazione giuridica dell’atto che chiamiamo eutanasia. Infatti si può tranquillamente sostenere che l’eutanasia è un omicidio, e poi difendere il suicidio assistito o la rinuncia consapevole alle terapie. Insomma, il rischio di chi dà troppo credito alle norme giuridiche e alle decisioni politiche è di demandare la soluzione dei problemi bioetici non alla coscienza, non al diritto naturale, non alla verità delle cose, ma alla volontà di organi deliberativi che a volte non sono stati nemmeno eletti democraticamente.
A che cosa si riferisce?
Di recente per esempio con una serie di sentenze la magistratura tedesca ha di fatto favorito il suicidio assistito. Indebolendo così enormemente la difesa della vita in alcuni contesti specifici, per quello che riguarda appunto la sospensione delle terapie salvavita. Basta non chiamare queste pratiche come eutanasia, ma usare termini differenti, e si ottengono risultati imprevedibili. La notizia della decisione dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa va quindi recepita con soddisfazione, ma non in chiave trionfalistica. Non c’è nulla da festeggiare, perché a fronte di una delibera di questo tipo se ne potrebbero citare molte altre, di tipo diverso, e che ci mettono terribilmente in imbarazzo, sia in campo bioetico sia in campo para-bioetico. Non dimentichiamoci per esempio che il Parlamento europeo ha condannato diverse volte la Santa Sede per discriminazioni sessuali, in quanto non riconosce il sacerdozio femminile.
Lei crede che il Vaticano si sia sentito messo in difficoltà?
Si tratta di delibere che lasciano il tempo che trovano, ma che ci fanno capire quanto è ambiguo l’intervento di questi organismi in ambiti non di loro competenza. Anche questa delibera dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa potrebbe quindi riservare brutte sorprese. Potrebbe emergere che in questa delibera ci sono dei vuoti che potrebbero essere riempiti in chiave pro-eutanasica.
Lei si ricorderà il caso di Welby, che chiese che gli fosse staccata la respirazione artificiale. Anche la legge italiana ha dei “vuoti”?
Il caso Welby non è stato ritenuto eutanasia dal magistrato italiano, e rappresenta proprio una vicenda esemplificativa di quanto ho affermato finora. Il dottor Mario Riccio, accusato di omicidio, è stato prosciolto e il caso è stato addirittura archiviato prima ancora che si aprisse il processo. E il motivo è che ciò che è successo a Welby non è stato ritenuto né omicidio né suicidio assistito né eutanasia, ma rispetto della volontà di un paziente consapevole.
È difficile però sostenere che in quel caso la legge italiana sia stata applicata in modo corretto dal magistrato…
Noi possiamo anche dire che la legge non è stata applicata in modo corretto. Ma io preferisco affermare che non è la norma che ci difende, siamo noi che dobbiamo farlo con la nostra coscienza morale. Perché quando facciamo appello alla legge, di fatto la sua applicazione non spetta né a me né a lei ma spetta al magistrato. Proprio perché quest’ultimo può applicarla in modo scorretto, dobbiamo muoverci su un livello che viene prima di qualsiasi legge, auspicando che le norme ci seguano ed entrino in sintonia con questi valori etici che noi vogliamo difendere. La norma non detta i valori etici, ma semplicemente vi si deve conformare. La delibera quindi di cui stiamo parlando non va presa come l’intervento che mette in chiaro quali sono i valori bioetici in gioco, ma tutt’al più ci dobbiamo compiacere che li abbia recepiti facendoli suoi.
(Pietro Vernizzi)