Bisognerà pur interrogarsi sulle parole dell’Angelus del Papa. Perché è il Papa? Non solo. Perché è una voce autorevole, e sa parlare a tutti. Tanto più quando commenta letture che, come quelle di questa domenica, sono un pugno nello stomaco, ai cristiani e ai non cristiani. Peccato che i lanci d’agenzia riducano tutto a una questione di moralità con riflessi sugli scandali della vita politica. Peccato, perché il Papa parla al mondo. E i problemi del mondo sono un po’ più gravi un po’ più variegati e grandi di quelli di casa.
Proviamo ad allargare la ragione, ad alzare il capo dalle pur difficoltose situazioni che stiamo vivendo, e mi riferisco a quelle economiche, oltrechè al disgusto per corruzione e opportunismi che muovono chi dovrebbe interessarsi del bene comune. La Siria brucia, e la gente viene massacrata ogni giorno. Si apparecchiano armi mortali in regimi assolutisti che attizzano il terrorismo internazionale; la libertà di espressione, di religione è violata in estremo e medio oriente, per non dire dell’Africa; povertà inimmaginabili e violenze quotidiane sono abitudini per milioni di uomini, in almeno un paio di continenti. Perchè mai il Papa dovrebbe avere in mente, palando urbi et orbi, le disavventure del signor Fiorito o della signorina Minetti. Può darsi, ma ho seri dubbi che non possa riferirsi a personaggi simili in diversi paesi vicini e lontani, di cui conosce bene, da attento osservatore, le traversie. Invece.
L’Angelus di oggi parla anzitutto ai cristiani. Ai cristiani della Chiesa cattolica romana. Che non si credano migliori, perché eletti dall’incontro con la Verità. Che siano capaci di riconoscere i segni che Dio manda tra uomini di diverse fedi e culture, chè sarebbe sciocco e contraddittorio aver creato tanto mondo per poi occuparsi e prediligerne solo una parte. Di più: nella Chiesa cattolica c’è molto di non cattolico, e viceversa. Qui sì che pensa a vicende vicinissime, che si può cogliere il cenno discreto e sofferto allo scandalo interno al Vaticano. Limitato al signor Paolo Gabriele? C’è da dubitarne, anche senza voler rovistare nelle spy stories di successo. Ma il Papa prosegue: anche tra i credenti, quelli che appartengono a varie realtà ecclesiali, movimenti, diocesi, ordini religiosi, eccetera… che si impari a cercare, riconoscere, a valorizzare il bello e il buono che ci arriva da ambienti diversi, nati dalla fantasia di Dio. E’ bellissimo questo carattere del Creatore: la fantasia, come un bambino, come un artista, altro che regole e steccati per la sua opera continua che vivifica la realtà.
Poi, si arriva all’invettiva contro i ricchi dell’apostolo Giacomo. Contro i ricchi disonesti, perché la ricchezza, ricorda il Pontefice citando un santo antico, Cesario di Arles, non può far male a un uomo buono. Anzi. Potrà per suo tramite diventare ricchezza per molti. A chi si riferisce l’apostolo? Ai potenti, certo, che ripongono la loro sicurezza in ricchezze accumulate a forza di soprusi. A chi potente non appare affatto, ma gestisce i suoi beni con avidità e bramosia: a chi ripone la sua felicità nelle cose che desidera, e abbassa i suoi desideri fino a farsi bastare la casa delle vacanze, l’avanzamento di carriera, la macchina nuova. O il motorino, la ragazza, la media alta a scuola. A che vale conquistare tutto il mondo, se poi perdi te stesso. Si dirà: il Papa si rivolge a chi può confrontare i beni eterni con quelli superficiali ed effimeri.
Infatti. Ma esiste un uomo, uno solo, che può trovare serenità e letizia vere, insieme al significato profondo dell’esistenza, in ciò che ha invece che in ciò che è? Non c’è, perché è impossibile. Si può solo fingere, e non pensare. Accontentarsi, finché un altro pugno nello stomaco non obblighi a stare soli davanti all’abisso di un perché. E allora non c’è bene materiale che tenga.
Siamo sui fondamentali della filosofia e della teologia, e mi sento in imbarazzo a tradurli così, con tanta banalità e rozzezza. Però tocca provarci, perché domani leggeremo sui quotidiani che il Pontefice, indignato per gli eccessi inaccettabili e l’immoralità dei nostri politici, parla a loro tra le righe, spiegando le letture. Perché non gli lasciamo fare il Papa, a Benedetto XVI? Cioè il pastore che parla alla Chiesa, che spiega la parola di Dio, che educa? Perché dobbiamo fare della sua voce una voce qualsiasi, che si mescoli a quelle di Fini e Berlusconi che litigano, di Renzi e Bersani che si lanciano freccette, a Casini e Montezemolo che non sanno che pesci pigliare?
Facciamogli fare il Papa e ascoltiamolo. Credenti o no, nella sua voce troviamo parole vere che parlano alla nostra vita. Non le sa dire più nessuno.