Caro direttore, nel film di Pieraccioni “Una moglie bellissima” c’è una scena fenomenale. Lui all’estero che spiega in un ristorante agli abitanti del luogo cosa sia l’ICI e loro che ridono e lo guardano increduli e la scena si chiude con la battuta di un ragazzo: “ma allora siete voi il terzo mondo”.
Non so se siamo noi il terzo mondo ma di sicuro ci avviciniamo se passerà l’idea di far pagare l’Imu alle opere di carità. Perché questo è il rischio reale e concreto.
Entro la fine dell’anno il Governo deve emanare un regolamento Imu con l’intento di far pagare l’imposta a chi faceva utili e rientrava tra le esenzioni per ovviare ad una sentenza europea che condanna il nostro paese.
Il problema è quello di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Era giusto fare chiarezza sulle esenzioni Imu ma attenzione che se non stiamo attenti con il regolamento che il Governo deve scrivere rischiano di chiedere l’Imu ad opere di pura carità che se va bene arrivano a pareggiare i conti, che operano per il bene di tutti e senza i quali lo Stato dovrebbe pagare molto di più per crearli e mantenerli in vita.
Da chiarire è la questione di cosa si intenda per “attività commerciali”. Queste opere possono anche fare “attività commerciale” perchè hanno una convenzione o pagano chi ci lavora, possono richiedere anche una retta per coprire parte dei costi. Sono opere che tutti conosciamo perchè le troviamo in molte città, si occupano di mense per i bisognosi, di educazione, di raccolta i generi alimentari da distribuire a famiglie in difficoltà, di giovani, centri per minori e madri in difficoltà, per stranieri che non hanno un alloggio o per ragazze madri. Sono realtà che sono nate anche da enti religiosi ma oggi spesso sono gestite da cooperative sociali, da fondazioni da gruppi di volontari.
Era febbraio del 2012 e il Governo presentò un emendamento (art. 91 bis) nel provvedimento “Liberalizzazioni” prevedendo che, dal 2013, l’esenzione da Imu (ex Ici) per gli immobili di enti non commerciali adibiti a specifiche attività veniva applicato solo nel caso in cui “le predette siano svolte con modalità non commerciali”. Da subito abbiamo chiesto cosa significasse “attività commerciale”, una mensa della caritas che paga un cuoco part time fa attività commerciale, una scuola che deve assumere gli insegnanti è attività commerciale, un centro per tossicodipendenti con educatori o una struttura per ragazzi madri con convenzione con un comune, ma anche un centro per la raccolta di generi alimentari da distribuire ai bisognosi che paga un affitto, sono tutti casi di “attività commerciale”.
Una situazione paradossale che diventava ancora più paradossale per le scuole non statali, scuole pubbliche a tutti gli effetti che per funzionare, per aprire, per essere in regola devono per legge essere attività commerciali. Se non lo sono non possono aprire. Le scuole dallo Stato sono considerate fiscalmente enti commerciali. Inoltre la situazione paradossale vorrebbe che mentre una legge nazionale (Legge Berlinguer) afferma che le scuole sono tutte pubbliche e si dividono tra statali e non statali, un’altra legge rischierebbe di non far pagare l’Imu alle scuole statali ma di far pagare quelle non statali, eppure tutte e due fanno la stessa identica cosa.
Fu il Presidente del Consiglio che dichiarò in Commissione Bilancio del Senato l’esclusione dell’imposta per le scuole dell’infanzia paritarie parrocchiali, Fondazioni e Associazioni o comunque statutariamente senza fini di lucro, paritarie e che accolgono gli alunni senza discriminazioni. Un risposta che riguardava tutti gli enti non profit e senza fini di lucro.
La Presidenza del Consiglio stabilì, attraverso una aggiunta all’emendamento ricordato, che entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, il Ministro dell’economia avrebbe emanato un decreto stabilendo le modalità e le procedure delle esenzioni Imu.
A settembre è emerso che il Governo attraverso la Presidenza del Consiglio aveva predisposto una bozza di regolamento rigettato poi dal Consiglio di Stato pochi giorni fa. Il problema è che con quella bozza, la gran parte di queste realtà avrebbero dovuto pagare l’Imu perchè si escludevano dalle agevolazioni tutte le non profit, escludendo la possibilità di svolgere qualsiasi attività commerciale, con la conseguenza di una chiusura della maggioranza di queste. In pratica veniva prevista l’esenzione solo per strutture nelle quali sia la proprietà che la gestione era di un ente ecclesiale, mentre per ogni altra forma si prevedeva il pagamento Imu. Inoltre sul concetto di attività commerciale si prevedeva, per esempio per le scuole, che l’esenzione era prevista solo se l’attività era svolta “a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di rette di importo simbolico e tali da non coprire integralmente il costo effettivo del servizio”. Titolo gratuito o importo simbolico? Se una scuola è gestita attraverso una cooperativa, magari di genitori, non deve chiedere la retta ma una cifra simbolica? E chi li paga gli insegnanti, la mensa, lo scuolabus?
A chi fa piacere chiudere una scuola, una mensa per i poveri, una casa di accoglienza per ragazze madri? Occorre che il Governo abbia chiaro che se è giusto fare chiarezza sul pagamento Imu deve essere altrettanto chiaro che chi non ha finalità di lucro, è una onlus, rispetta le leggi deve continuare a non pagare l’Imu. Così come non pagano l’Imu gli enti statali che si occupano delle stesse cose. Altrimenti si, siamo noi il terzo mondo.