La settimana scorsa sono stato a Finale Emilia, giornata forzata di pausa fra bozze di libri e organizzazione di Golosaria a Milano. Un giorno lavorativo di fine settimana, con la mia auto sono uscito a Carpi, per passare su quelle strade di campagna dove ogni tanto appare un cascinale piegato e poi all’ingresso dei paesi ancora le tendopoli. A Finale Emilia non ti accorgi del disastro del terremoto finchè non giungi nel centro storico, che è tutto transennato. E proprio qui, quasi a lato dell’abitato più fitto, c’è la trattoria de La Fefa. Giovanna, la cuoca, la conoscono tutti: ha lasciato un lavoro impiegatizio per dedicarsi alla sua passione che è quella cucina di duchi e duchesse raccolta anche in un libro di ricette che mi ha voluto donare con dedica.



La sua trattoria è di quelle giuste, che sprizzano il calore emiliano, coi tavoli e le sedie di legno, il Lambrusco, i tortellini con brodo di cappone più buono del mondo. A inizio settembre ha riaperto le porte, ma ha dovuto combattere, praticamente solo con le proprie forze e quelle della sua famiglia. I soldi dello Stato? Chissà. Ma intanto devi combattere con la burocrazia e lottare per riavere l’agibilità. E pagare. Se non te lo raccontassero non ci crederesti. “Quando c’è stato il terremoto aspettavo la gente di un matrimonio. E non è arrivata. Poi sono scesa in strada e ho incominciato a dare da mangiare alla gente, pane e salame e quello che avevo… perchè il mangiare è il primo segnale che ci sei e anche di una certa normalità”. Mentre lei lo racconta sorride, ma i segni di questi mesi di incertezza e di fatica si vedono. Eppure Giovanna è contenta, come chi sa che poi tutte le cose vanno a posto, se ci si impegna nella giusta direzione.



Questa osteria, dedicata alla signora Genoveffa, esiste dal 1786 ed era il punto di ritrovo e ristoro della gente che transitava sul fiume. Qui si fa una torta sfogliata ripiena di formaggio, la “torta degli ebrei”, che è il piatto tipico di Finale Emilia. Si celebra il 2 di novembre, ma lei ce l’ha sempre in carta e una porzione costa tre euro. Tra gli antipasti, in questo periodo fa lo sformato di zucca, ma anche la terrina di fegato d’oca con la confettura di fichi. Coi salumi superbi del modenese c’è lo gnocco fritto. Ma che buoni i passatelli in brodo di cappone e faraona, i cappellacci di zucca con salvia, mandorle e amaretti e quei maccheroni al torchio alla maniera della Fefa, ossia con prosciutto crudo e fagioli. E dopo l’assaggio, a quel punto, avrei voluto abbracciarla, prima della fine del pranzo. Ma c’era ancora la coscia d’anatra confit con salsa al lambrusco e uva e i medagiolini di maialino con salsa di mele campanine e purè di sedano rapa… e poi il coniglio, il filetto di manzo di romagnola… Come dolce la torta di tagliatelle al profumo di Anicione, la zuppa inglese con crema pasticciera. Il suo gelato alla crema o la Taccolenta degli Estensi.



I prezzi sono proprio da osteria, non spendi più di 40 euro. Alla fine l’ho abbracciata davvero questa cuoca dei nostri tempi, capace di suscitare la felicità, nonostante tutto quello che è successo e succede. Venite allora a La Fefa per scoprirne la forza dell’amore.

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