Per la prima volta un intero continente vince il Premio Nobel per la Pace. Questo continente è l’Europa, ossia, come si dice, la madre di tutte le guerre. Ma oggi le guerre sono una cosa da paesi poveri e sovraffollati, che non vinceranno mai il Nobel. Per questo si esportano.
Così viene premiata la pacifica, pacata, paciosa, paciarotta Europa, che sì, è vero, ha prodotto or non è molto la più vergognosa tra tutte le rappresaglie militari, quella che ha portato alla caduta del regime di Gheddafi e all’ignominiosa, raccapricciante uccisione dello stesso: ma che cos’è tutto questo in confronto al sacrificio delle banche per tenere la Grecia in Europa? All’istituzione del fondo salva-stati? All’idea di varare gli Eurobond?
In fondo, visto che ormai sono le banche a governare l’intero continente, c’è da pensare a un atto di buona economia: le banche mettono i soldi dell’importo del Premio e poi se li riprendono inducendo la Reale Accademia ad assegnarlo proprio a loro. Economia, Orazio, diceva Amleto. Ma, a proposito: la prossima volta perché non dare all’Europa anche il riconoscimento in questa materia?
Per non parlare del dialogo Merkel-Monti, degno sicuramente del Nobel per la Letteratura: è o non è la vera sceneggiatura del grande film di questi tempi?
E la scoperta, tutta europea, del Bosone di Higgs non potrebbe valere al nostro scalcinato continente anche il riconoscimento per la Fisica?
Eppure, a parte gli scherzi, la Primavera Araba, tanto per dirne una, meritava questo premio assai più dell’Europa. E soprattutto il popolo tunisino, per il quale tutto cominciò, e che diede un esempio di grande civiltà limitando la violenza al minimo.
E perché non assegnare il Nobel per la Pace alla memoria di Mohammed Bouazizi, lo sfortunato eroe di quei giorni? Quel povero fruttivendolo abusivo lo meritava di certo più di tutta l’Europa, centomila volte di più.
Colpisce come la Reale Accademia faccia tanta fatica a sbilanciarsi su una persona da premiare per la Pace. Anche gli altri sono ormai premi politici, e io capisco che l’importanza di questo riconoscimento obblighi i membri della giuria a una certa prudenza politica. Perfino in letteratura è raro che venga premiato Tizio, o Caio, solo perché è un grande scrittore. Ma questo non giustifica la deposizione di ogni forma di coraggio, l’abdicazione al diritto-dovere di far sentire al mondo, anche soltanto una volta all’anno, l’eco di una voce libera.