Ho alcuni dispiaceri sulla vicenda di Leonardo. Il primo è che in essa non vi sia niente di osceno. I tragici greci sapevano cosa mostrare: Edipo si cava gli occhi, Giocasta si impicca, Fedra uccide i suoi figli, ma tutti “ob scaenam”, fuori scena. Noi spettatori, semmai, assistiamo alle conseguenze. Leonardo invece è stato buttato direttamente in scena, con un video che ha turbato moltissimi. Le immagini già crude in sé, hanno avuto la loro forza amplificata dalla donna – vera e propria regista – che ne ha condotto una cronaca di pari violenza. Con Leonardo abbiamo avuto tutti il contraccolpo della visione di uno o più adulti che trattano coercitivamente un bambino.
E’ però opportuna una parola sul presunto trauma che ne sarebbe derivato. Si legge ovunque sulla stampa, così come lo si sente commentare nei bar: ma come farà Leonardo a superare, o peggio a dimenticare, tutto questo? Ancora una volta il “tutto questo” è limitato a ciò che ci ha impressionato perché portato in scena.
Il trauma che può aver subito questo bambino, invece, e l’unico che poi conti veramente, è precedente, data probabilmente molti anni: si tratta della sconfessione del suo pensiero circa la convenienza del rapporto con l’altro, convenienza che sicuramente era già stata sperimentata. Il rapporto, inoltre, è stato colpito per lui proprio nella sua declinazione uomo-donna, ossia nel punto in cui la diversità biologica supporta il pensiero nel riconoscere conveniente l’altro da sé.
Dentro questo scenario la vera cartina di tornasole è stato il ricorrere alla polizia, prima e più ancora che la modalità del suo intervento. A rigor di logica sarebbe stato forse più opportuno chiamare l’esercito, perché di guerra aperta si tratta, con il figlio trasformato in campo di battaglia e rappresentato come lacerato, conteso fra le due parti. Chiamare le forze dell’ordine significa che nessuno è stato in grado di trovare e praticare una soluzione alternativa, pacifica. Ma di guerra si tratta, infatti. E nelle guerre si usa ogni mezzo per vincere.
Il secondo dispiacere nasce leggendo, con un certo sconcerto, un virgolettato dei giudici che, riferendosi al bambino, pare abbiano scritto in un documento «Bisogna aiutarlo a crescere, imparare a resettare e riassestare i propri rapporti affettivi».
Ecco, ci mancava il reset. Se guardiamo il dizionario Treccani troviamo la sua definizione: “riportare allo stato iniziale, operazione che interrompendo le funzioni e i programmi attivi in quel momento riporta un sistema nella fase di funzionamento iniziale”.



Proprio così, si parla di sistema e di funzionamento. A questo può essere ridotto un bambino, ma togliamo pure di mezzo le questioni di tenerezza, a questo può essere ridotto un uomo. Siamo davanti, a tutti gli effetti, a un’operazione perversa. Per rendercene conto dobbiamo abbandonare l’idea della perversione come di una patologia ad ambito esclusivamente sessuale; i signori coll’impermeabile al parco e gli amanti dell’estremo ne sono solo la macchietta più triviale. La vera natura della perversione è l’ostilità dichiarata verso il pensiero. Fantasticare di poter resettare un bambino vuol dire misconoscere completamente la sua facoltà di soggetto pensante, in grado di elaborare giudizi e trovare soluzioni, per trasformarlo in un sistema che deve funzionare. Potremmo proiettarci a pensare programmi di rewind per cancellare i brutti ricordi o di fast forward per superare più in fretta i periodi difficili, tutto nella logica di una programmazione sistemica e sistematica. Ma c’è poco da fare gli ironici, perché è in gioco la libertà del soggetto, quella di Leonardo come quella di ciascuno di noi. 
Lasciate stare Leonardo. Se veniva da pronunciarlo, magari a mezza voce, davanti al video, oggi ci sale alle labbra ancora di più. Lasciatelo stare, se l’intenzione è davvero di “aiutarlo a resettare” i suoi rapporti affettivi. Non gli serve un aiuto così. Ha bisogno piuttosto di iniziare a giudicare – e a dieci anni può farlo benissimo – chi gli ha fatto e cosa, e non fissarsi sui torti ricevuti. E’ per lui il momento di un rilancio, non di un reset. 
Rilancio dell’occasione di sperimentare una normalità possibile e di praticarla in proprio. Rilancio della possibilità di dare e ricevere soddisfazione. 
Rilancio di quel suo essere bambino – ossia della capacità di guardare l’altro come fonte del beneficio e l’intero universo come luogo del suo agire – che può essere stato ferito e scalfito, ma certo non soppresso.

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