Uno studio a cura del Progetto Sentieri dell’Istituto Superiore della Sanità ha fatto ieri il giro d’Italia: l’incidenza dei tumori a Taranto e provincia sarebbe nettamente superiore a ogni altra zona d’Italia e, in particolare, a Taranto si avrebbe il 419% in più di morti per mesotelioma polmonare, dato grezzo riferito agli uomini. I verdi fanno notare che avevano ragione loro a parlare di pericolosità dell’Ilva, i magistrati che hanno disposto la chiusura della fabbrica non commentano, ma probabilmente pensano la stessa cosa, il Ministro della sanità si dichiara sorpreso. Ilsussidiario.net ha chiesto al professor Marco Ferrario un parere: “La prima cosa che bisogna avere molto chiara quando si parla di mesotelioma polmonare e cioè di tumore della pleura, il dato più eclatante fra quelli raccolti da questo studio, è che per sua natura è un tumore dalla lunghissima latenza”. Ferrario spiega che esso si può manifestare anche cinquant’anni dopo l’inizio dell’esposizione e quindi si tornerebbe indietro di parecchi decenni. “Non si possono mettere in relazione le condizioni di esposizione attuale con la patologia del mesotelioma. Bisogna certo verificare se le esposizioni di un tempo sono ancora presenti, ma la bonifica fatta sull’amianto già vent’anni fa dovrebbe escluderlo”.
Dal suo punto di vista di professionista medico del settore, che impressione le hanno fatto questi dati?
Diciamo che preferisco concentrarmi sui dati epidemiologici diffusi dallo studio, per i dati relativi all’inquinamento non entro in merito in quanto non è il mio campo. Posso però dire che leggendo lo studio diffuso dal ministero noto alcune discrepanze.
Quali?
Mi sembra ci sia una pluralità di dati, sembra cioè sia stata fatta una sommatoria di tanti dati, e dunque è inevitabile in tali casi capire l’autentica affidabilità delle singole fonti informative.
Cosa intende esattamente?
Si parla di mortalità, quindi si presume ci siano dati a livello nazionale probabilmente resi disponibili dall’Istituto Superiore di Sanità. Ci sono poi dati di provenienza invece locale, presumibilmente dalle Asl del territorio pugliese e anche dell’Arpa, e dati del registro dei tumori della Puglia. Quindi disparità di provenienza dei dati: questo studio non fa altro che metterli insieme, non cercando dati propri, non è cioè uno studio che genera dati propri.
E questo cosa comporta?
Quando c’è una pluralità di fonti bisogna tenere sempre presente che le cose non è detto che quadrino al puntino. Nonostante questo, la cosa più importante è che sicuramente si evidenzia un eccesso di mesotelioma, cioè il tumore della pleura (forma grave e potenzialmente fatale di cancro che colpisce la pleura, la doppia membrana sierosa che riveste e sostiene i polmoni nella cavità toracica, ndr). Sono tassi esorbitanti. Ci sono poi dei dati che tendono a porre in rilievo l’eccesso di tumori del polmone, ma è da capire se vengono considerati anche il mesotelioma di cui dicevamo, anche se rimane comunque questa rilevanza evidente. Ci sono poi dati sulle malattie respiratorie, c’è poi il melanoma, ma sappiamo benissimo che in questi casi l’esposizione al sole è molto importante. Ci sono anche linfomi. Questi sono i dati che emergono con certa eterogeneità.
Avere dati differenti dunque può creare una difficile disamina esatta della situazione?
C’è un primo problema a proposito del mesotelioma: la prima cosa che bisogna avere molto in chiaro è che, per sua natura, è un tumore con una lunghissima latenza.
Lunga quanto?
E’ un tumore che emerge dopo 30, 40, anche 50 anni dall’inizio della esposizione. E’ il dato più eclatante, ma è un dato che riguarda statistiche di qualche anno fa e quindi dal punto di vista dell’esposizione torna indietro di decenni.
Lei vuole suggerire che i casi di questa malattia sarebbero stati provocati prima delle bonifiche messe in atto in anni recenti?
Sappiamo che l’amianto è stato tolto completamente da parecchi anni, credo dalla metà degli anni ’90. Questo vuol dire che negli ultimi vent’anni si può presumere che anche a Taranto, come per tutta la normativa nazionale, devono aver tolto amianto e annessi e connessi. In ogni caso i dati resi noti ieri sono riferiti agli anni duemila, cioè a esposizioni che datano almeno tre decenni. Dato che, come detto, le esposizioni generano la malattia con anni di latenza, i dati che abbiamo adesso potrebbero anche incrementarsi. Ma non si possono mettere in relazione le condizioni di esposizione attuale con la patologia del mesotelioma. Bisogna parlare di qualcosa di precedente e bisogna certo anche verificare se le esposizioni di un tempo sono ancora presenti.
In sostanza secondo la normativa dovrebbe non esserci pericolo.
Bisogna capire quanto è il residuato.
Rispetto ai dati resi noti ci sono altre osservazioni da fare?
Un’altra cosa che non mi quadra è la questione dei tassi grezzi perché qui la maggior parte di questi dati non sono standardizzati per età. E’ una tecnica di calcolo che dovrebbe essere utilizzata se si fanno confronti con altre popolazioni, perché è evidente che alcune persone potrebbero essere più anziane e il confronto sarebbe falsato. Ci sono molte tabelle che riportano dati grezzi e questo è un limite. Ma c’è anche un altro limite in questo studio.
Quale?
Un altro limite è che la maggior parte delle pubblicazioni scientifiche citate in appendice sono di riviste nazionali. E’ inevitabile che la pubblicazione su riviste internazionali dovrebbe portare a maggiore rigore scientifico. Questo non vuole togliere nulla alla bontà dell’analisi, però, se questi dati fossero stati pubblicati su riviste scientifiche di un certo peso, si può ritenere che la revisione prima della pubblicazione avrebbe dovuto essere molto più accurata e approfondita. Da ultimo, c’è una questione che solleverei sulla analisi statistica condotta con intervalli di confidenza stretti. Anche questo non è proprio rigoroso, perché con intervalli di confidenza un po’ esagerati si tende a rappresentare in modo negativo qualcosa che potrebbe non esserlo.
Dunque i toni apocalittici che abbiamo letto ieri sono esagerati?
Ribadisco che le patologie che vengono riscontrate sono in eccesso esorbitante, ma ribadisco anche che possono fare riferimento a esposizioni pregresse. Si tratta di capire se questi dati di inquinamento ambientale sono presenti ancora o meno.
Il ministro della Salute ha detto che con questi dati nell’arco di un anno si potrà giungere a una valutazione accettabile della situazione.
Perlomeno sarà sufficiente per raccogliere da quello che si ha a disposizione dei dati ulteriori, non so se si potranno fare studi ad hoc, se pensiamo che nel caso di Seveso ci sono voluti forse trent’anni.
Ci sono stati in Italia altri casi analoghi a questo dell’Ilva?
C’è stato il famoso caso di Porto Marghera, analogo per certi versi. Poi anche altri minori.
Come è oggi la situazione a Porto Marghera?
E’ stata fatta una serie di analisi e alla resa dei conti, con riferimento ai dati molto allarmanti che si avevano precedentemente, si è andato a vedere dato per dato per stabilire quelli che potevano essere considerati affidabili. Molti dei dati di partenza, lì sono stati ridimensionati.
Che conclusione possiamo trarre al momento?
Diciamo che in Italia, ma anche nell’area in questione, le patologie per un arco di tempo abbastanza lungo sono in netta diminuzione. C’è un andamento, cioè, in controtendenza.