Forse ha ragione Luca Doninelli quando scrive che Milano è una grande michetta. Grande perché ogni volta che ti capita di girarla scopri dei nuovi anfratti, e poi vie, strade che non conoscevi; “michetta” perché in fondo questa città ha l’aspetto di qualcosa che ti avvolge e ti coinvolge.
Sul mio tavolo ho un libro, acquistato domenica in edicola: L’altra Milano, 36 itinerari fuori dal centro. Un libro che prima si sfoglia e poi si legge, andando a vedere dove ci si riconosce e dove no. Ho cercato nell’indice subito un nome, “Feltre”, ma non l’ho trovato. Eppure io sono nato proprio lì, in quel quartiere lambito dal Lambro, col grande parco costruito nel dopoguerra grazie alle macerie del conflitto, come il monte Stella. Un quartiere con le case dai mattoni arancioni, ma anche con un polmone verde e una piazza, come nei paesi veri, dove la gente ha un luogo in cui incontrarsi.
Il “Feltre” si raggiunge con la 55, ma prima ancora era la linea F, che ti collegava dalla periferia al centro: piazzale Loreto. Del mio quartiere ricordo il panettiere, privo del forno (era una rivendita di pane) ma dove arrivavano delle michette ancora calde buonissime, che negli anni non ho più ritrovato. Di fianco c’era il vinaio, Rocca, che rivendeva anche vino sfuso, del Piemonte e dell’Oltrepò. Non era un’enoteca, ma una semplice rivendita di vino. C’era anche una trattoria rinomata in quartiere, da Livio, ma ebbe vita breve: non che si mangiasse male, ma la gente forse si vergognava a ostentare che andava a mangiare fuori. Sulla via dei negozi c’era poi Domenico Strazio, negozio di alimentari, ma soprattutto di formaggi e salumi. E ci sapeva fare quell’uomo di origini campane, tanto che un giorno lessi un articolo su un giornale che parlava di lui. Meritatissimo. Per quanto riguarda la pizza si andava invece in via Teodosio. Qui la facevano nella teglia, alta, alla moda di Spontini (il suo campione è nella foto), una delle prime pizzerie al taglio di Milano, in piazza Lima. Ci sono stato pochi giorni fa, dopo tanti anni e quella pizza mi ha quasi commosso: alta, completamente coperta di formaggio, ma sotto un buon pomodoro e poi la croccantezza della base. Mi sono commosso davvero, perché mi ha ricordato certe domeniche sere quando si tornava dal paese e il papà decideva di mangiare la pizza. Che festa!
Anche questa era L’altra Milano, nel senso di quella che abbiamo vissuto prima del boom economico vero e proprio. E c’erano alcune similitudini con questo momento. Con un’unica differenza: oggi Milano, la Michetta-Milano, è infarcita di locali, di ogni genere, che quasi coprono quei negozi artigianali, quella quotidianità silenziosa che si sveglia al mattino ancora col buio e con il buio va a casa. Ai miei tempi c’era un solo bar, la Battagliera, proprio di fronte al Parco Lambro, dove nelle sere nebbiose provocate dal Lambro, con Doninelli ci rifugiavamo anche solo per ascoltare le voci di un’umanità varia. E lì lui ha scritto uno dei più bei racconti che io conservo, ossia la storia dell’ubriaco e della moglie che, paziente e fedele, lo riaccompagnava ogni volta a casa. Una delle più belle storie d’amore mai lette. Pare che lì si fosse fermato anche il Garibaldi, per cui la leggenda, per anni, fu che voleva comprarla Berlusconi, che intanto aveva completato la costruzione di Milano 2, di lì a pochi chilometri. Nell’altra Milano – intesa come libro – tante cose si trovano, altre ve le racconteremo a Golosaria a Milano (sul sito www.golosaria.it c’è già il programma) dal 17 al 19 novembre. Anche questo trovarsi (al Palazzo del Ghiaccio) sarà un modo per amare e forse conoscere meglio questa città, complessa e misteriosa.