“Un concistoro d’integrazione”, così si liquida in Vaticano l’inatteso annuncio, fatto ieri mattina, al termine dell’udienza generale, da Benedetto XVI. Sei nuovi cardinali andranno a rinfoltire il nutrito gruppo di porpore che dovrebbe in un futuro, si spera lontano, ritrovarsi sotto gli affreschi di Michelangelo per eleggere il nuovo Pontefice.



Sei nuovi principi della Chiesa e tra loro nessun italiano, nessun europeo, un solo uomo di curia. E proprio da qui, per molti osservatori, bisogna partire per interpretare la mossa a sorpresa di Ratzinger: James Michael Harvey, Prefetto della Casa Pontificia, è il primo nome pronunciato dal Papa. E’ stato a lungo uno dei suoi più stretti collaboratori, fidata e discreta ombra in tutti gli incontri ufficiali, tonaca svolazzante accanto a capi di Stato e leader religiosi per i lunghi corridoi vaticani. Americano, canonista, dal 1982 abita la Curia e dal 1998 si occupa dell’ordine della casa pontificia e di chi vi presta servizio. Sua la responsabilità della presenza nella famiglia pontificia di Paolo Gabriele, l’ex aiutante di camera condannato il 6 ottobre scorso dal Tribunale Vaticano per il furto di documenti riservati dall’appartamento papale. Anche se Harvey è totalmente estraneo alla vicenda Vatileaks, la sua nomina a cardinale e il trasferimento dal Palazzo Apostolico alla Basilica di San Paolo fuori le mura suggerirebbero la volontà di un cambio di rotta nella gestione dei più stretti collaboratori del Papa.



In realtà leggere quanto annunciato ieri da Benedetto XVI guardando solo le vicende giudiziarie e le fughe di documenti vaticani è riduttivo. Il concistoro, che si terrà tra un mese esatto, corregge gli equilibri all’interno del collegio cardinalizio e soprattutto premia con la berretta rossa figure di spicco, pastori a capo di grandi comunità cattoliche, in terre di frontiera. Tre dei sei prossimi cardinali sono titolari di grandi diocesi del mondo, tra le più complesse e difficili. Il colombiano Ruben Salazar Gomez, Arcivescovo di Bogotà, due settimane fa, aveva personalmente esposto al Pontefice le speranze e le attese nel paese latino-americano per i negoziati di pace tra il governo e le Farc (le forze armate rivoluzionarie della Colombia).



Non meno impegnativa la missione di Mons. Luis Antonio Tagle, Arcivescovo di Manila, teologo e rappresentante di spicco dell’episcopato asiatico, occupato in questi giorni a stendere il messaggio finale del Sinodo per la nuova evangelizzazione in corso in Vaticano.

Un discorso a parte merita Mons. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, nigeriano, rappresentante di quella chiesa martire che in Africa vive sulla propria pelle la pressione dell’Islam fondamentalista. In evidenza già nel Sinodo dedicato all’Africa è da tempo impegnato nel confronto e il dialogo con i musulmani, nonostante gli attacchi violentissimi a cui, da mesi, il gruppo fondamentalista Boko Haram sottoppone la comunità cristiana nigeriana. Con la sua scelta, senza dubbio, Benedetto XVI ha voluto esprimere la propria vicinanza ad una Chiesa perseguitata, chiamata alla testimonianza del sangue. 

Nella stessa direzione anche la decisione, del pontefice, di premiare Bechara Boutros Rai, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, responsabile di una delle tessere del mosaico cattolico libanese. Il Papa ha avuto modo di conoscere e apprezzare la sua maturità ecclesiale nel recente viaggio in Libano, dove si è fatto portavoce dei disagi economici e politici del paese, ma anche delle speranze dei cristiani in una regione lacerata da conflitti e tensioni.

Ultimo del gruppo ma non meno noto, Baselios Cleemis Thottunkal, Arcivescovo Maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi, indiano con una lunga frequentazione romana. Il secondo asiatico della sestina che riceverà la berretta rossa il prossimo 24 novembre. 

E proprio la provenienza geografica dei futuri cardinali è un altro indicatore importante per “leggere” l’ultima mossa di Benedetto XVI: Asia, Africa, Medio Oriente, America del nord e del sud, praticamente i continenti penalizzati nell’ultimo concistoro, sbilanciato a favore di europei e in particolare italiani. Una correzione necessaria ma anche un segnale politico: esclusi gli italiani, sia i diocesani, con Venezia e Torino che rimangono senza porpora, sia gli uomini di Curia a capo di prestigiosi Pontifici Consigli.

Con le attuali nomine il collegio cardinalizio tocca il numero massimo di cardinali elettori. Al 24 novembre infatti saranno esattamente 120 le porpore sotto gli ottant’anni (a proposito auguri ai prossimi ottuagenari, Card. Arinze e Card. Martino), e anche se oltre la metà hanno origini europee, crescono le percentuali di porpore provenienti dal resto del mondo. Sarà anche vero che non si tratta di un “problema di alchimia fra nord e sud del mondo, o fra est e ovest” come ebbe a dire il Segretario di Stato, card. Tarcisio Bertone, ma l’universalità della Chiesa è una bella cosa.

 

(Dinfna Valentini)