“Dal Guatemala parlerò di più” dice a proposito della cosiddetta trattativa Stato-mafia il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia. Il pm ha accettato l’incarico offertogli dall’Onu di andare in Sudamerica. “E se necessario, utilizzerò anche la denuncia pubblica – ha affermato intervenendo ad un dibattito con gli studenti a Firenze – perché tutta la verità deve venire fuori. Dal Guatemala farò non di meno, ma di più, perché emerga tutta la verità”. “Non è un passo indietro, ma lo considero un passo in avanti perché emerga tutta la verità”, ha aggiunto Ingroia, rispondendo a chi gli domandava se il fatto di accettare l’incarico delle Nazioni Unite non fosse una fuga. Abbiamo sentito per IlSussidiario.net il deputato del Pdl Alfredo Mantovano.



Onorevole Mantovano, ora Ingroia annuncia che dall’America si sentirà con le mani un po’ più libere. Come spiega le sue dichiarazioni?

E’ difficile fare l’esegesi di Ingroia, soprattutto da parte mia. Io so qual è la fisiologia di un processo penale: in genere il pubblico ministero, dopo che ha concluso un’indagine, specialmente se quest’ultima è importante e fa discutere la nazione, non vede l’ora di arrivare a giudizio per sostenere le tesi esposte in quest’indagine. Vuole vedere la conclusione e, quindi, la sentenza di condanna. Tutto questo nel caso di Ingroia non accade e mi chiedo perché. Ma il primo che dovrebbe farsi questa domanda è lui stesso.



E’ una fuga dalle critiche, una resa, un attacco?

Ingroia non sta andando in Guatemala contro la sua volontà, ma su sua precisa richiesta e questo non può non qualificarsi come una fuga da quello che sembrava il processo più importante della sua carriera e, in ogni caso, per la Sicilia negli ultimi anni.

Accettare l’incarico in Guatemala è sinonimo della debolezza dell’ipotesi messa in piedi finora?

Non necessariamente, ma tutto ciò è una ulteriore conferma di una costruzione accusatoria che non sta in piedi. Per un verso criminalizza, se c’è stata, una scelta politica presa dalle istituzioni del governo dell’epoca che io non condivido. Dall’altro altro critica opzioni che rientrano nell’attività di prevenzione delle forze di polizia che, quando catturano un criminale, vanno a chiedere informazioni ad altri delinquenti e non certo ad un convento di clausura. Peraltro, la follia di questo processo è che si troveranno sul banco degli imputati i capi della mafia degli ultimi decenni e chi li ha catturati. Già questo basta a dimostrare l’assurdità di questa costruzione e la pretesa di sanzionare penalmente una divergenza sia sui metodi con cui realizzare la prevenzione, sia sulla scelta del governo. Detto questo, ritengo significativo che il suo procuratore, Francesco Messineo, non abbia posto la propria firma sulla chiusura delle indagini e che Paolo Guido, il pm che era stato affiancato ad Ingroia durante le indagini, si sia dissociato nel momento più delicato. Tutto questo sottolinea due aspetti.



Quali? 

Vi è un fortissimo impatto mediatico, e anche intimidatorio, nei confronti di chi svolge attività delicatissime sul fronte di prevenzione criminale. E, come spesso accade, al dato mediatico non corrisponderà il dato giudiziario.

 

Ingroia ha parlato di “disorientamento nell’opinione pubblica”. Secondo lei è così?

 

Certo, è il minimo che può succedere quando le guardie e i ladri, che loro stessi hanno catturato, vengono messi sullo stesso piano. Segnalo che il procuratore aggiunto di Palermo ha criticato fortemente il procuratore capo per la mancata cattura di Matteo Messina Denaro per problemi di coordinamento. Significa che si distolgono energie di ogni tipo per il contrasto alla mafia di oggi e che si cerca di ricostruire nei tribunali vicende che dovrebbero essere lasciate agli storici perché non rilevanti dal punto di vista giudiziario.

 

Ingroia ha parlato di persone dentro le istituzioni ed ex istituzioni che sanno la verità su quella trattativa ma non parlano. Ingroia sta “continuando” l’inchiesta con altri mezzi?

 

Ingroia si è reso conto, e non andrebbe in Guatemala se così non fosse, che la sua indagine è un castello di carta e cerca giustificazioni preventive, da avere pronte nel momento in cui, o in sede di udienza preliminare o in sede di dibattimento, le carte cadranno: allora potrà gridare che non c’è stata collaborazione e ci sono collusioni. Si sta preparando il terreno di fronte ad una dichiarazione di fallimento che arriverà presto.

 

Ingroia ha parlato di “solitudine istituzionale” della magistratura. C’è chi sostiene il contrario: ovvero che qualcuno ha tentato di isolare il Quirinale. Chi ha ragione?

 

Se il magistrato compie correttamente il proprio lavoro non dovrebbe pensare a chi è al suo fianco. L’isolamento sul piano istituzionale non giova mai, ma ho l’impressione che Ingroia per non correre rischi sia sia affiancato a soggetti politici improbabili e abbia dedicato troppo tempo alla presentazione dei suoi libri e alla frequentazione di studi televisivi più che alle aule giudiziarie.

 

Cosa sta a significare il fatto che perfino una parte di Magistratura democratica abbia preso le distanze pochi giorni fa da un pm come Ingroia?

 

In questo momento, Ingroia è Robespierre alla fine della sua carriera e Magistratura democratica incarna il ruolo del Generale Bonaparte. Md, dopo aver gestito la rivoluzione, oggi vuole dirigere anche il futuro e l’inevitabile riassetto dopo che si è colpita la figura del Capo dello Stato: scaricare Ingroia è una sorta di passaggio politico e sacrificale che suona obbligatorio.