Si è tenuta la seconda udienza del cosiddetto “Vatileaks”, il processo istituito contro l’ex maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, accusato di aver trafugato materiale riservato e di averlo reso disponibile alla pubblicazione. Gabriele è infatti accusato di furto aggravato perché eseguito ai danni di persona (il Pontefice e i suoi segretari personali) di cui si godeva la fiducia. Per tutto questo potrebbe rischiare dai due ai sei anni di detenzione. Sul caso in questione si è detto di tutto, montando un circo mediatico che ricostruiva gli scenari di un complotto vero e proprio all’interno della Curia romana per mettere in difficoltà lo stesso Pontefice. Secondo Sandro Magister, contattato da Ilsussidiario.net, “quanto sta dicendo lo stesso Gabriele nelle sue deposizioni dimostra come la teoria del complotto fosse qualcosa di poco veritiero e serio”. Siamo davanti a un personaggio, aggiunge, dalla doppia personalità, ma vale la pena anche sottolineare, dice “come la fiducia di cui questa persona avesse goduto dimostri quanto all’interno del Vaticano si prediliga un rapporto basato sulla familiarità e sulla fiducia personale anche a costo di rischi come questo”.



Nella sua deposizione dell’altro giorno Gabriele ha ribadito di aver sempre agito da solo. Lei che opinione si è fatto del personaggio in questione?

Personalmente sono sempre stato piuttosto scettico sulla teoria del complotto e direi che l’interrogatorio fatto ieri conferma questo mio scetticismo. Ciò non toglie che effettivamente la personalità dell’imputato come emerge dal processo presenta molti elementi che sono impressionanti.



Del tipo?

Ad esempio la sua vicinanza al Santo Padre era straordinaria. Era una persona che sedeva a tavola con il Papa, sentiva parlare le persone che interloquivano con lui e interveniva lui stesso, aveva una scrivania nell’ufficio adiacente allo studio del Papa con una porta comunicante. Aveva anche una fotocopiatrice e lavorava nella stessa stanza in cui lavoravano i due segretari personali del Papa. Quindi in presenza di una quantità notevole di carte riservatissime. Questo sorprende in modo fortissimo.

Che cosa la sorprende in modo particolare? 

L’assoluta assenza di sospetti che ha circondato questo personaggio fino a quando, sostanzialmente, è stato scoperto in flagrante.



Verrebbe da dire che questa grande fiducia nei confronti di Gabriele e presumibilmente di quanti lavorano in Vaticano, mostri un’idea dei rapporti ben differente di quella che si può vedere in qualunque ambiente di lavoro.

Certo, è vero. Questo tipo di rapporto tra lui e le persone con cui era fianco a fianco è la fotografia di un sistema curiale in cui gli elementi di familiarità e di fiducia reciproca prevalgono sulle precauzioni di sicurezza che in ogni grande istituzione, o anche azienda, vigono e si osservano. C’era una facilità estrema nel passare una carta riservata da una mano all’altra, cosa che non avviene e non dovrebbe avvenire in tante istituzioni.

Gabriele ha detto di aver agito per il bene della Chiesa, preoccupato di qualcosa che però non ha precisato.

Secondo me può essere assunta come sincera questa sua dichiarazione, che testimonia la personalità dell’imputato divisa tra comportamenti fortemente lesivi della lealtà nei confronti della Chiesa e allo stesso tempo sentimenti di fedeltà. Lui ha detto di avere affetto filiale nei confronti del Santo Padre, pensava di lavorare a suo favore. Questo sdoppiamento di personalità è quanto emerge dal processo ed è plausibile prenderla come veritiera.

Lei crede che, come ha detto qualcuno, il Papa concederà la grazia?

 

Il Pontefice ha nei suoi poteri quello di concedere la grazia dopo una sentenza; cosa che è nei poteri di qualunque capo di Stato. Quindi, teoricamente, lo potrebbe fare. D’altra parte si può anche dire però che il Pontefice ha la possibilità di intervenire prima di un processo concedendo la grazia, evitando che il processo si svolga: cosa che non ha però fatto. 

 

Perché secondo lei?

 

Quando c’è stata una riunione resa pubblica di tutte le persone coinvolte nelle indagini, il Papa raccomandò una assoluta solerzia nel procedere del processo. Questo va tenuto presente: il Papa si è ritenuto molto ferito dal tradimento di una persona nella quale aveva riposto massima fiducia.