Il Sinodo dei Vescovi, dedicato a La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, è incominciato come un grande evento di fede e di comunione illuminato dalla presenza forte di Benedetto XVI. La Messa inaugurale, domenica scorsa, nella quale il Santo Padre ha attribuito il titolo di dottore della Chiesa a San Giovanni d’Avila e a Ildegarda di Bingen, ha connesso la celebrazione del Sinodo al grande evento del Concilio, all’anno della fede, alla riscoperta del catechismo della Chiesa cattolica come strumento fondamentale per l’approfondimento della identità della fede.
Oggi, partecipando per intero, mattina e pomeriggio, ai nostri lavori, Benedetto XVI ha dato il tono altissimo di un sinodo che in tanto saprà affrontare adeguatamente i problemi dell’evangelizzazione e della trasmissione della fede, se sarà all’altezza dell’esperienza della fede. Ha quindi richiamato tutti i padri sinodali a recuperare il senso vivo dell’evento della fede. Occorre, aveva detto nella sua omelia di domenica, “un nuovo incontro con il Signore, che solo riempie di significato profondo e di pace la nostra esistenza; per favorire la riscoperta della fede, sorgente di Grazia che porta gioia e speranza nella vita personale, familiare e sociale”. Fede è l’incontro con Cristo e la sequela di Lui, l’immedesimazione con la sua vita, con il suo temperamento, con il suo modo d’essere e di sentire, perché soltanto in questa immedesimazione e per questa immedesimazione, la nostra vita umana si compie in maniera piena e profondamente corrispondente alle esigenze fondamentali del nostro cuore.
E così questa traboccante esperienza di umanità ci mette sulla strada degli uomini nostri fratelli, con una grande capacità di giudizio, per cui evangelizzazione non può significare in nessun caso un irenismo concordistico, un andare d’accordo per andare d’accordo, un dialogo per il dialogo, ma vorrà dire una capacità di porre di fronte al cuore di ogni uomo l’avvenimento di Cristo perché, se l’uomo vuole, possa seguirlo.
I termini sono dati con estrema sintesi e con grande paternità. Il lavoro è cominciato, sono arrivate esperienze diverse di tutti i continenti, anche, come è facile immaginare, esperienze di dolore e di sofferenza.
C’è stato, infine, un inatteso richiamo al martirio come dimensione inevitabile dell’evangelizzazione in un mondo disperato e anti-cristiano come quello in cui viviamo.
È cominciata una grande esperienza ecclesiale, intellettuale, morale, e quindi di servizio pieno alla Chiesa, in tutta la materialità della nostra esistenza.