Con un emendamento approvato ieri in Commissione Affari sociali della Camera e presentato dal deputato dell’Idv, Antonio Palagiano, avviene l’ennesima modifica alla discussa legge 40 sulla procreazione assistita. L’emendamento prevede che le madri che hanno avuto un figlio in provetta avranno la facoltà di disconoscerlo, alla stessa stregua delle donne che hanno avuto una gravidanza naturale. Un cambiamento che apre l’ennesimo dibattito in tema di procreazione in vitro. L’emendamento consente, dunque, anche alle donne sottoposte a Pma (procreazione medicalmente assistita) di non riconoscere il proprio neonato e di poter essere assistite in ospedale, lasciando che il proprio bambino venga curato e successivamente assegnato ad una coppia che ne faccia richiesta al Tribunale. “Questo è un ennesimo tentativo – dice la parlamentare del Pdl Eugenia Roccella, redattrice delle linee guida sulla legge 40 – di cambiare la legge attraverso varchi nella pratica, senza passare da un dibattito parlamentare trasparente, coinvolgendo anche l’opinione pubblica. L’emendamento va corretto perché esistono delle serie incongruenze”.



Quali?

Intanto voglio sottolineare che l’emendamento può essere tranquillamente corretto, poiché è un provvedimento in prima lettura in commissione, quindi deve ancora passare al vaglio della Camera e in seguito del Senato. Alcuni giornali hanno scritto che la legge è immediatamente attiva ma non è così perché servono ancora molti passaggi.



Per l’ex ministro della Salute Livia Turco  l’emendamento è “un gesto di amore verso il bambino e le donne perché afferma che le gravidanze sono tutte uguali”.

Si tratta di situazioni completamente diverse, perché nel caso di gravidanza naturale è possibile che quest’ultima possa essere non desiderata o non prevista e magari, nei casi più estremi, anche frutto di una violenza. Nel caso di fecondazione assistita siamo di fronte ad una gravidanza fortemente voluta, dal momento che la donna si sottopone ad una serie procedure invasive come, ad esempio, il trattamento ormonale. Non è un fatto imprevisto e di cui, anzi, è necessario assumersi la dovuta responsabilità sin dall’inizio delle procedure.



C’è , dunque, il rischio di scavalcare la legge che vieta l’eterologa?

Certo. Chi non è in buona fede tenta da anni di cambiare la legge 40 senza un dibattito ampio e limpido di tipo parlamentare e che coinvolga anche l’opinione pubblica. Questo emendamento ne è l’esempio perché aprirebbe la strada a casi di utero in affitto.

 

In che modo?

 

E’ molto semplice. In Italia c’è la possibilità di accesso alla Pma anche da parte dei conviventi, che attraverso la presentazione di un semplice documento di auto certificazione, attestano di essere una coppia a tutti gli effetti. E’ un meccanismo che potrebbe portare alla fecondazione assistita anche a coppie “finte”: è possibile, infatti, che uno dei due coniugi, in base magari ad un accordo, rinunci al figlio grazie al disconoscimento e lo lasci nelle mani del “finto” partner che, magari, convive con un altro partner o vive una relazione omosessuale. In questo caso, il bambino diventa oggetto di mercato, così come, il corpo della donna. E’ evidente che si tratta di uteri in affitto. Fra l’altro, il bambino nato da procreazione assistita necessita di garanzie diverse rispetto ai bambini nati da gravidanza naturale.

 

In che modo è possibile tutelare i nascituri?

 

Nella legge 40 esiste già la possibilità di ritirare il consenso ma, solamente, prima della fecondazione, passaggio cruciale in cui si crea l’embrione. Dopo questa procedura non è più possibile farlo.

 

La legge 40 sembra non trovare pace. Perché?

 

Da sempre sulla legge 40 è stata esercitata una grande pressione, dapprima referendaria con esito negativo: voglio ricordare che il referendum è stato bocciato con una larghissima percentuale. In seguito, visto il risultato negativo delle urne, le stesse forze politiche che hanno tentato di cambiare la legge non sono più state disponibili ad un dibattito chiaro, e hanno proseguito attraverso ricorsi al Tar e alla Consulta.

 

Come risolvere il problema del soprannumero degli embrioni che rimangono congelati sine die?

 

E’ un problema che si è aperto con la sentenza della Corte costituzionale che è stata male interpretata nella prassi. Nella legge, infatti, è rimasto intatto il divieto di produrre più embrioni del numero strettamente necessario: purtroppo, dopo la sentenza c’è stato un aumento esponenziale nella produzione di embrioni. Il ministero dovrebbe intervenire attraverso una regolamentazione chiara: fra l’altro, le linee guida e di indirizzo in fatto di procreazione assistita per i centri dovrebbero essere rinnovate ogni tre anni e, purtroppo, sono già scadute.