Consiglio, Commissione e Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo, quantomeno sui termini generali, per quanto riguarda i 670 milioni di euro da destinare alle aree terremotate dell’Emilia-Romagna. La decisione definitiva è rimandata a martedì, ma quantomeno si tratta di un passo in avanti rispetto al no secco che era giunto in un primo momento da parte di Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Svezia e Finlandia. Ilsussidiario.net ha intervistato Eugenio Caperchione, preside della facoltà di Economia dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
Professor Caperchione, che cosa ne pensa del no, poi in parte ritrattato, ai fondi Ue per i terremotati?
La sensazione è che si sia trattata di una manovra che fa parte di una negoziazione tuttora in corso. Gli organismi Ue stanno discutendo delle modifiche al bilancio e ci sono numerose questioni aperte. Questi cinque Paesi probabilmente hanno pensato di portare a casa dei risultati, su cifre magari più alte e su questioni diverse, mettendo l’Italia sotto ricatto. Se da un lato ci sono i 670 milioni di euro per l’Emilia-Romagna, dall’altra c’è un bilancio di 9 miliardi, rispetto a cui tutti i Paesi devono stanziare dei fondi per gli obiettivi Ue. Quando si fa un negoziato in una situazione di difficoltà, come è quella in cui versano numerosi Paesi Ue, si discute su tutto, anche su ciò che può apparire ovvio. E’ questo ciò che è avvenuto ieri, e qualcuno evidentemente deve avere detto: “Se l’Italia non cede da un’altra parte, iniziamo a metterla sotto scacco sui fondi ai terremotati”.
Ritiene che si tratti anche di una mancanza di fiducia nei confronti dell’Italia?
Si potrebbe anche pensare che l’Italia non sia ancora considerato un Paese realmente risanato, e quindi qualcuno stia sospettando che noi stiamo chiedendo soldi per l’emergenza terremoto, ma che questo in realtà ciò serva a coprire altre nostre difficoltà. Qualcuno di questi Paesi potrebbe essere convinto del fatto che l’Italia ce la potrebbe fare da sola, e che chieda questa somma perché ha speso male le sue altre risorse.
A che cosa serviranno in realtà questi 670 milioni di euro?
Servono per una lunga serie di interventi. Da un lato ci sono le scuole ancora in strutture provvisorie, e che quindi andranno ricostruite secondo altri criteri. Ci sono numerosi edifici pubblici lesionati che vanno sistemati, per non parlare delle tante case di privati e delle famiglie rimaste senza lavoro che hanno bisogno di un sostentamento. Insomma in quel territorio c’è bisogno realmente di tutto, magari non ci si rende conto perché l’emergenza sembra passata e non è più all’ordine del giorno. In realtà si stanno chiudendo solo ora i rifugi di fortuna, diversi cittadini dormono ancora fuori casa, l’economia fatica a ripartire, ci sono capannoni crollati e aziende ferme. La somma di 670 milioni può sembrare elevata, ma se la si suddivide per tutte le esigenze potrebbe anche non essere un granché.
Come si spiega invece l’accordo che sembra essere stato raggiunto ieri sera in extremis?
Proprio con l’idea di una contrattazione di cui parlavo all’inizio. Quando si redige il bilancio di una realtà come l’Unione europea occorre capire che non è finanziato da delle “tasse europee”, che non esistono, ma dal fatto che ciascuno Stato contribuisce versando determinate percentuali. I Paesi più popolosi pagano dunque di più, anche se si tratta sempre di un elemento discrezionale e quindi di una fonte di conflitto o quantomeno di un contrasto di interessi.
Insomma ogni volta che si parla di soldi si finisce per litigare …
Sì, e un’altra fonte di problemi sono le modalità in cui sono destinati i soldi. L’Ue spesso realizza dei mega-bandi, di cui si avvantaggia chi è capace di presentare dei progetti particolarmente interessanti e di muoversi nel modo giusto. Occorre inoltre spendere le somme erogate entro un determinato termine, e diversi fondi assegnati all’Italia poi non sono spesi e quindi tornano indietro. Quando si realizza un bilancio si deve discutere sia dove si prelevano sia come si destinano i vari fondi.
E quindi?
Gli aiuti alle aree terremotate era solo uno dei numerosi capitoli di cui si stava discutendo. Esistono diverse altre esigenze, pari appunto ad altri 9 miliardi, e così come l’Italia ha avuto questa emergenza anche altri Paesi possono averne nei prossimi mesi. C’era magari un altro Paese che si aspettava qualche cos’altro, e che non potrà averlo perché c’è stato il terremoto, ed è dunque anche comprensibile che si verifichino delle tensioni.
(Pietro Vernizzi)