Sembra proprio che, al di là della crisi economica tutt’altro che prossima a risolversi, il tema principale al centro del dibattito politico internazionale sia rappresentato dalle nozze gay e dalle adozioni degli omosessuali. Se ne parla negli Usa, dove a fronte di una proposta di legge a favore, si sollevano i referendum popolari contrari; se ne parla in Spagna dove il governo Rajoy non è riuscito a modificare le leggi promulgate da Zapatero, nonostante la visibile e concreta contrarietà di una larga parte della pubblica opinione; se ne parla in Francia, dove Hollande preme per mantenere le sue promesse elettorali entro la fine dell’anno. Ne parlano tutti coloro che cercano di accelerare il processo di approvazione, facendo leva su di una diffusa convinzione: un gran numero di persone intende la rivendicazione del matrimonio omosessuale come un passo avanti nella lotta contro l’ingiustizia e la discriminazione, così come quella condotta contro il razzismo. 



Ora, non c’è dubbio che la cultura e la civiltà di un popolo si misurino anche e soprattutto dalla lotta contro l’ingiustizia e la discriminazione, e per questo anche gli omosessuali, al pari di tutti gli altri cittadini, vadano protetti e tutelati dal rischio della violenza, fosse pure soltanto la violenza verbale, o quella più sottile ed insidiosa come la violenza psicologica. Il No alla violenza e alla discriminazione vanno quindi ribaditi con forza e un’accresciuta sensibilità deve condurre tutti noi ad una piena accettazione della diversità, ad un approccio inclusivo che tenga conto delle peculiarità di ognuno, per consentirgli un pieno sviluppo della sua personalità. È quanto compete all’impegno politico e sociale quando afferma di volere riconoscere i diritti individuali di ognuno di noi. 



Ma le nozze gay, l’adozione degli omosessuali sono per noi altra cosa. Non si tratta di un diritto individuale, ma di un diritto che investe la peculiarità di relazioni che da sempre sono state percepite in modo diverso dalla nostra cultura e da nostro diritto e che ora – se approvate – rappresenterebbero un fattore di cambiamento così radicale da esigere un’attenta valutazione delle sue conseguenze. In nome del principio di uguaglianza e nella logica di una modernità che impone un costante e continuo processo di adattamento a nuovi modelli comportamentali, si chiede di mettere in discussione uno dei fondamenti della nostra società. Bernheim, gran rabbino di Francia, scrivendo una lunga ed articolata lettera ad Hollande, ha messo in evidenza come il vero scopo che sta dietro questa legge non è l’uguaglianza ma la cancellazione di ogni differenza sessuale.



A detta di molti la teoria del Gender costituisce la premessa culturale su cui si innesta la richiesta della comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender, ndr) che va però oltre i confini della comunità omosessuale e appare sorprendentemente capillare e diffusa. Nella teoria del Gender le differenze sessuali perdono di specificità e l’orientamento sessuale non è più marcato dalla differenza oggettiva, con tutto il suo complesso bagaglio di fattori biologici, ma è definito dalla sfera della soggettività, dal desiderio dell’individuo che sceglie in autonomia il proprio orientamento sessuale. 

È la premessa per poter legittimare nella scelta del proprio orientamento sessuale anche le scelte che ne conseguono rispetto alla propria vita di coppia, dando vita ad una serie di alternative possibili che hanno fatto parlare di sette possibili varianti nella relazione di coppia: una rivoluzione non condivisa da parte di molti, una evoluzione per altri che sostengono il matrimonio gay e le adozioni da parte degli omosessuali. 

Ma indipendentemente dal fatto che si sia più o meno d’accordo sulla cultura del gender con tutte le sue implicazioni, occorre provare a valutare le conseguenze che nel tempo possono scaturire a livello della società nel suo insieme se si procedesse ad una legittimazione delle coppie gay e delle adozioni degli omosessuali. Non si può perdere di vita il valore strutturale che ha la differenza sessuale e la complementarietà delle figure genitoriali per un sano e completo sviluppo della vita dei figli. Bisogna riflettere bene prima di accantonare secoli di esperienze, con i loro chiaro-scuri, ma anche con la forza ordinatrice che ha avuto nel plasmare il nostro diritto e la nostra tradizione educativa, l’esperienza affettiva in generale. Il diritto di famiglia, il diritto legato al matrimonio, la nostra stessa Costituzione sono frutto di una progressiva elaborazione culturale che è andata chiarendo progressivamente diritti e doveri a partire dalla specificità delle differenze sessuali e dei rispettivi ruoli che ne derivano, a volte in maniera forse troppo rigida, ma in genere come risposta ad una esperienza condivisa e fatta propria dal senso comune. Quando si mette mano ad uno dei fondamenti della nostra società occorre chiedersi cosa accadrà subito dopo. 

Sorprende però come i sostenitori delle nozze gay e delle relative adozioni non accettino mai un dibattito che faccia luce sulle pur possibili conseguenze che tracciano i margini di rischio di una tale scelta. Ma nessuno può o vuole parlarne. C’è come un mantra che ribadisce esclusivamente il cosiddetto principio di uguaglianza, anche se non si possono considerare uguali due relazioni, una fatta da persone di sesso diverso e una fatta da persone dello stesso senso. È il senso comune che sottolinea nella diversità delle condizioni di partenza la naturale diversità degli effetti che ne derivano.  Eppure l’enfasi sulla uguaglianza dei diritti fa passare sistematicamente sotto silenzio alcune delle conseguenze che già ora appaiono in modo vistoso sul piano del linguaggio: ovviamente scompaiono termini come moglie e marito; come madre e padre, sostituiti dall’asciutta terminologia di genitore A e genitore B. Difficile per un bambino in queste condizioni poter utilizzare i termini mamma e papà, potrà rivolgersi ai presunti genitori solo chiamandoli per nome, perdendo la peculiarità di un’esperienza che ognuno di noi si trascina per tutta la vita. La consolante esperienza di chiamare mamma anche quando con il trascorrere degli anni si troverà in condizioni di particolare fragilità e smarrimento.

Ma sorprende anche che non si vogliano prendere in esame le effettive possibilità che questi legami possano interrompersi, che con il tempo subentrino nuove relazioni, rendendo assai più difficile l’affido di questi figli, sia che siano adottati, o che siano stati concepiti da uno dei due membri della coppia gay. Sembra che queste relazioni siano sospese in una sorta di bolla mediatica in cui è possibile far riecheggiare le parole conclusive delle favole di una volta: “E vissero cento anni felici e contenti…”. Ma quelle erano favole, che oggi probabilmente non si raccontano più oppure le si rivisita alla luce dei mutati sistemi di vita. 

 

Parliamo dei drammi delle famiglie, degli indici di separazione, mettiamo l’accento sulla sofferenza che la separazione dei genitori provoca sui figli, sull’impatto che può avere sulla loro salute mentale e psicologica… Ma tutto ciò sembra riguardare solo le coppie eterosessuali regolarmente unite in matrimonio e magari in matrimonio religioso. A volte assistiamo ad un vero e proprio accanimento mediatico e la stampa insiste nel descrivere la crisi della famiglia, le sue violenze interne, l’impoverimento progressivo a cui va incontro davanti alle separazioni e ai divorzi, la cecità della politica con i suoi mancati investimenti a favore dei nuclei familiari, soprattutto se numerosi.

Ma ciò non sembra riguardare affatto le coppie omosessuali, descritte come osasi di pace e di affetto reciproco, con un forte vissuto di solidarietà e con una apertura alla genitorialità che dovrebbe far impallidire le coppie eterosessuali che contribuiscono a fare dell’Italia il fanalino di coda per quanto attiene all’indice di natalità. Siamo un paese di vecchi, in cui nascono pochi bambini; abbiamo delle liste di attesa lunghissime per chi desidera adottare un bambino, italiano o straniero che sia. Eppure  sembra che la migliore soluzione possibile per uno di questi rari e preziosi bambini in attesa di adozione sia quella della coppia omosessuale. 

C’è davvero uno scollamento impressionante tra il modo in cui si parla delle coppie omosessuali, a volte sembra che siano loro i nuovi simboli del “Mulino bianco”, e la condizione reale delle “famiglie” , così vistosamente trascurate da una politica arida e miope. I diritti delle coppie omosessuali trovano una audience mediatica sempre attenta e solidale, mentre cala il silenzio stampa sui bisogni reali delle famiglie, sui nuovi livelli di povertà dei bambini. Questi diritti non interessano mai abbastanza, eppure sono anch’essi diritti individuali degni della maggiore e della migliore attenzione.

Ma si parla troppo poco anche della complessità della costruzione della identità sessuale per ogni soggetto; è vero che il nucleo identitario profondo ha le sue radici nella corporeità dell’individuo, nella sua misteriosa biologia individuale che si svilupperà successivamente con il concorso di fattori educativi, sociali e culturali. Anche non volendo aderire alla teoria del gender e considerando che l’orientamento sessuale è sempre e prima di tutto fondato sull’esperienza della corporeità del soggetto, non c’è dubbio che il suo sviluppo equilibrato richieda un mix di fattori che debbono consegnargli il senso profondo dell’essere uomo e dell’essere donna. C’è sicuramente una evoluzione culturale nell’essere uomo e nell’essere donna ma ci sono anche elementi di continuità nella tradizione culturale di un popolo e di un Paese che rappresentano i naturali punti di riferimento per lo sviluppo della propria identità sessuale. Una identità specifica che è la naturale premessa per fare esperienza della relazione di amicizia prima, sentimentale e sessuale dopo, che configura la relazione di coppia propedeutica al matrimonio e al far famiglia. 

Non sembra che in tutti Paese in cui assistiamo alla rincorsa verso il riconoscimento del matrimonio gay e le relative adozioni ci sia consapevolezza dei problemi che potrebbero presentarsi e che riguardano l’intero assetto della società. 

Parliamo dei drammi delle famiglie, degli indici di separazione, mettiamo l’accento sulla sofferenza che la separazione dei genitori provoca sui figli, sull’impatto che può avere sulla loro salute mentale e psicologica… Ma tutto ciò sembra riguardare solo le coppie eterosessuali regolarmente unite in matrimonio e magari in matrimonio religioso. A volte assistiamo ad un vero e proprio accanimento mediatico e la stampa insiste nel descrivere la crisi della famiglia, le sue violenze interne, l’impoverimento progressivo a cui va incontro davanti alle separazioni e ai divorzi, la cecità della politica con i suoi mancati investimenti a favore dei nuclei familiari, soprattutto se numerosi.

Ma ciò non sembra riguardare affatto le coppie omosessuali, descritte come osasi di pace e di affetto reciproco, con un forte vissuto di solidarietà e con una apertura alla genitorialità che dovrebbe far impallidire le coppie eterosessuali che contribuiscono a fare dell’Italia il fanalino di coda per quanto attiene all’indice di natalità. Siamo un paese di vecchi, in cui nascono pochi bambini; abbiamo delle liste di attesa lunghissime per chi desidera adottare un bambino, italiano o straniero che sia. Eppure  sembra che la migliore soluzione possibile per uno di questi rari e preziosi bambini in attesa di adozione sia quella della coppia omosessuale. 

C’è davvero uno scollamento impressionante tra il modo in cui si parla delle coppie omosessuali, a volte sembra che siano loro i nuovi simboli del “Mulino bianco”, e la condizione reale delle “famiglie”, così vistosamente trascurate da una politica arida e miope. I diritti delle coppie omosessuali trovano una audience mediatica sempre attenta e solidale, mentre cala il silenzio stampa sui bisogni reali delle famiglie, sui nuovi livelli di povertà dei bambini. Questi diritti non interessano mai abbastanza, eppure sono anch’essi diritti individuali degni della maggiore e della migliore attenzione.

Ma si parla troppo poco anche della complessità della costruzione della identità sessuale per ogni soggetto; è vero che il nucleo identitario profondo ha le sue radici nella corporeità dell’individuo, nella sua misteriosa biologia individuale che si svilupperà successivamente con il concorso di fattori educativi, sociali e culturali. Anche non volendo aderire alla teoria del gender e considerando che l’orientamento sessuale è sempre e prima di tutto fondato sull’esperienza della corporeità del soggetto, non c’è dubbio che il suo sviluppo equilibrato richieda un mix di fattori che debbono consegnargli il senso profondo dell’essere uomo e dell’essere donna. C’è sicuramente una evoluzione culturale nell’essere uomo e nell’essere donna ma ci sono anche elementi di continuità nella tradizione culturale di un popolo e di un Paese che rappresentano i naturali punti di riferimento per lo sviluppo della propria identità sessuale. Una identità specifica che è la naturale premessa per fare esperienza della relazione di amicizia prima, sentimentale e sessuale dopo, che configura la relazione di coppia propedeutica al matrimonio e al far famiglia. 

Non sembra che in tutti Paese in cui assistiamo alla rincorsa verso il riconoscimento del matrimonio gay e le relative adozioni ci sia consapevolezza dei problemi che potrebbero presentarsi e che riguardano l’intero assetto della società.