Un genio dell’informatica, John McAfee. A lui si deve ormai agli anni 80 l’invenzione di quegli antivirus che permettono ai nostri pc quotidiani di funzionare, di resistere ai micidiali attacchi degli hacker, di curare la nostra privacy, la nostra libera espressione o tutela di idee, pensieri, parole. A lui, con quell’ara stropicciata e bohémiènne un po’ appassita, perché ormai i 60 sono passati da un pezzo, a lui che immagineremmo più a suo agio in fumosi bistrot o rave party pesanti, si deve la zampata, di quelle che lasciano il segno nella storia. Che peccato, un uomo così, farsi trascinare dalla rabbia e dalla follia, uccidere per un litigio, insozzarsi coscienza e immagine per un colpo di testa, un colpo di fucile a un amico, in una bella casa di San Pedro, isola paradiso tropicale nel mare del Belize. Eppure, McAfee godeva di quel cielo azzurro del sud, dove abitava accanto all’azienda che guidava, la QuorumEx, per produrre antibiotici naturali.
Si direbbe che amava la guerra sporca ai killer microscopici, virtuali e naturali. Che andava a caccia del nemico invisibile. Amava la guerra coi killer della sua anima. Eppure godeva dei profumi di quella terra, di una casa da sogno, di tante donne. Troppe, pare, se è vero che si stava dedicando a preparare un tipo di droga per stimolare l’interesse sessuale femminile verso gli uomini. Verso di lui. Si è tramutato in uno stalker, un maniaco. All’inseguimento impossibile di quel filtro d’amore, per cui streghe e stregoni hanno rimestato a lungo nei pentoloni. Circe, Armida ce l’avevano fatta. John McAfee non ancora. C’è chi si è perso per la pietra filosofale, lui si accontentava delle droghe. Si è venduto ai narcos, ha piegato la sua arte a fabbricare farmaci abusivi. La droga lo guidava, una schiavtù meno dolce e sopportabile di quella amorosa.
Ne aveva bisogno? Perchè? Ci si smarrisce, soverchiati dai guai veri, di salute e di soldi, a veder gettar via la vita quando hai tutto, o potresti averlo. E’ che la felicità non si compra. E’ che il tormento e l’inquietudine che rode non si chetano con le ville e le ragazze compiacenti. E’ che un uomo è un uomo, sempre e dovunque, capace di altezze e bassezze insondabili, capace di perdersi. Senza un perché. O meglio, perchè ha scelto il male, perché non ha retto l’altezza dei desideri più grandi. Fa differenza, che fosse un genio? Ci scandalizza, che una ragione tanto fine e attrezzata non abbia placato i vizi, sostenuto l’istinto, tenuto a bada le pulsioni? Non ci conosciamo o fingiamo di non conoscerci. L’atarassia, la stoikè sono formule lette soltanto sui manuali di filosofia antica. La purezza cercata a tutti i costi ha generato soltanto eresie o pazzia.



La sottomissione alla psicanalisi costringe spesso a un lettino per tutta la vita, per tenere a bada quel che urge, e prima o poi salta fuori. Va già bene se è autolesionismo, e non male recato ad altri. L’intelligenza ha bisogno di un cuore, ferito dalla propria miseria, piegato a riconoscerla, e liberato proprio dal riconoscerla. Un cuore che si sente amato e non oggetto di pretesa, foss’anche quella di essere all’altezza, dove tutti pensano e chiedono che tu sia. John McAfee è un genio, come lo sono decine di artisti che hanno distrutto la vita propria ed altrui, per troppo amore mal riposto o troppa sensibilità, per troppa solitudine o troppo affanno di bruciare tutto. 
La solita storia di genio e sregolatezza, un binomio che ci attare, ci perturba ma ci affacsina, per cui in fondo indulgiamo verso le sciocchezze o i crimini dei più grandi (citiamo Roman Polanskj?). mentre il genio è responsabilità, è un dono. E’ quel talento che può produrne altrui cento, servire a tanti. O può essere seppellito e lasciar seppellire , poco a poco, anche l’intelligenza e la volontà.

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