14 novembre, in cento piazze d’Europa, grandi manifestazioni per protestare contro le scelte di austerità dei governi, che sono sospinti a tali scelte dalla Commissione Europea. Si è previsto da tempo quello che sta accadendo, la crisi pagata dalle masse popolari sospinge alle ribellioni di massa. I governi tagliano le spese, i bilanci si riassestano, ma coloro che perdono il lavoro diventano tanti e la vita è, per la gran parte delle persone, più dura.
Le proteste come affermazione di un largo rifiuto delle scelte di austerità sono comprensibili. Chi organizza scioperi e manifestazioni sa bene che la spinta alla ribellione è forte. Per questo è accaduta la contemporaneità delle proteste dalla Polonia alla Spagna, continuando lotte in corso o iniziando a ribellarsi anche nei paesi meno colpiti dalla crisi. Sono sindacati con nuova vocazione di rappresentanza.
Forse ci sono cambiamenti importanti da fare nelle scelte di sviluppo e nei costumi di vita. E’ evidente che occorrono presenze ed energie positive capaci di proporre le strade di questo cambiamento. Ma per ora siamo solo al far pesare la parti entro la logica di equilibrio delle scelte dei governi. Le parti rifiutano i tagli, e i governi spostano i tagli da una parte all’altra. Ma così non si produce il passo in avanti.
Ecco perché la piazza si surriscalda, nei manifestanti prendono spazio i gruppi più violenti, è come dire che non si sa cosa proporre ma quello che è stato fatto deve essere rifiutato a tutti i costi, con qualunque mezzo. L’asprezza dello scontro obbligherà a trovare altre strade. E’ una dipendenza dal potere e dalla forza, fondata sulla mitizzazione della libertà di ribellione.
Non si può rimanere prigionieri di questa visione limitata. La domanda drammatica che la gente in difficoltà si pone è : dove poggia la mia speranza?
Se l’unità delle persone in difficoltà è veramente importante, allora ci si deve proporre di generare lo spirito costruttivo, fondato sulla libertà delle persone, libertà di portare, la dove sono, il meglio della propria capacità di lavoro e di proposta. Non puntare tutto sulla piazza, ma puntare tutto sull’esperienza del fare assieme, del fare popolo, del portare al livello migliore la collaborazione delle parti coinvolte nella costruzione e nelle attività lavorative.
Fare comunità, innestando insieme visioni solidali e fraterne di aiuto reciproco e di affermazione della creatività nel lavoro. Questo nel territorio, nei luoghi di lavoro, nella forme associative. Facendo crescere la pressione dal basso, che chiede politiche attive di sostegno delle parti dinamiche e produttive e di trasformazione delle parti che non sono adeguate alle nuove esigenze.
In particolare la vicenda assume tratti significativi nelle scuole. L’austerità chiede la riduzione dei dipendenti e una maggiore produttività. Questa logica è solo negativa, eppure ha ragioni nella riduzione della spesa. Allora sarebbe veramente il caso di fare della scuola il punto esemplare del cambiamento possibile, per fronteggiare l’emergenza educativa. Il che vuol dire insegnare la positività presente nella reale attività di popolo.
Insegnare la dinamica dei cambiamenti nel lavoro e la continua necessità di adeguarsi al cambiamento, sapendo modellare il proposito personale alle occasioni che si pongono. Una scuola dove si insegna a entrare nella varie attività con un elevato senso della relazione fra diritti e doveri, non con le rigidità dell’autoaffermazione dei diritti, ma con la disponibilità a riproporsi secondo la fluidità dei progressi tecnologici e delle dinamiche di mercato. In questo modo si può motivare la spesa alta nell’istruzione, perché da li si prepara il cambiamento.
Fra dipendenti pubblici si dovrà comprendere che l’innovazione informatica rende possibile una larga riduzione del personale. E la difesa del diritto ala lavoro deve assumere l’intelligenza delle proposte di formazione professionale e di cambiamento dei mestieri.
Nella crisi dei consumi si apre tutta la riflessione sui difetti del consumismo esasperato, e sulla necessità di vivere meglio consumando in modo intelligente, in relazione con i contesti ambientali e gli equilibri delle risorse.
Nelle generazioni diverse, giovani e vecchi, nel mondo del lavoro, si pongono le riflessioni connesse con il poter lavorare tutti, il che vuol dire usare meglio le risorse del territorio e le risorse umane.
Insomma è veramente necessario un confronto responsabile delle parti, che può avvenire solo se si passa dalla cultura del cittadino e dei diritti di cittadinanza, alla cultura della libertà della persona, che ha le adeguate occasioni per dare il meglio di sé. La speranza è in questo ritorno alla centralità della persona, ovvero alla irriducibile creatura in ognuno di noi.
Uno sguardo così ci coinvolge tutti, ognuno si deve domandare dove poggia la speranza. In definitiva è una preghiera: Tu che mi generi come essere umano aiutami a compiermi secondo la mia personalità, perché possa essere utile ai miei simili.