L’Ilva di Taranto rischia davvero la chiusura definitiva. Se i sigilli posti dall’autorità giudiziaria non verranno revocati, spiega la stessa azienda nell’istanza di dissequestro degli impianti dell’area a caldo depositata da poco alla Procura di Taranto, si andrà inevitabilmente incontro alla “definitiva cessazione dell’attività produttiva” e alla “chiusura del polo produttivo”. L’ultima parola spetta al gip Patrizia Todisco, ma, “se il sequestro preventivo dovesse permanere pur a fronte del mutato quadro autorizzatorio”, fanno sapere nell’esposto il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, e l’avvocato Marco De Luca, “l’ovvia insostenibilità economico-finanziaria condurrebbe inevitabilmente alla definitiva cessazione dell’attività produttiva”. L’unico modo per far fronte a tale impegno, sottolinea ancora l’Ilva, “consiste nell’attuazione effettiva del decreto di revisione dell’Aia: vale a dire l’attuazione non solo di quella parte delle novellate disposizioni, recante limiti e disposizioni più stringenti di quelle approvate nell’agosto 2011, bensì dell’autorizzazione all’esercizio nel suo pieno (e ovvio) significato giuridico, cui quelle disposizioni sono appunto strumentali”. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Gian Maria Gros-Pietro, dirigente d’azienda e docente di Economia.
Professore, come giudica l’intero caso Ilva?
La vicenda è caratterizzata da luci e ombre, da aspetti che appaiono chiari ed evidenti e da altri che invece suscitano una certa sorpresa.
Cominciamo dai primi.
L’aspetto più evidente è sostanzialmente uno: se l’attività di rifornimento delle materie prime e di funzionamento dei reparti a caldo non può essere proseguita, sulla base delle istruzioni dei custodi giudiziari, tutto il centro non è più in grado di funzionare, né di produrre quelle risorse economiche che sarebbero necessarie per le operazioni di risanamento. Ci si trova quindi di fronte a una crisi societaria che segue alla cessazione dell’attività produttiva.
Quali sono invece gli aspetti che riservano delle sorprese?
L’aspetto più singolare è dato dal fatto che, da quanto dichiara l’autorità giudiziaria, sembra che sia in atto un processo di grave danneggiamento dell’ambiente. Anche diversi dati epidemiologici hanno dimostrato che tale danno ambientale è in atto da molti anni, anche perché malattie come il cancro non si possono certo contrarre nel giro di qualche settimana.
Dov’è quindi la sorpresa di cui parla?
La sorpresa sta nel fatto che esistono dei presidi pubblici che, a carico della collettività, hanno il compito di verificare la regolarità delle condizioni in cui si svolgono le attività produttive. Sembra dunque che questi presidi non abbiano funzionato per anni e che quindi non abbiano emesso quei segnali di allarme circa la non corrispondenza delle condizioni di funzionamento dello stabilimento alle norme prescritte che avrebbero permesso nel tempo di adeguarlo progressivamente.
Siamo infatti arrivati a questo punto…
Ci ritroviamo di colpo davanti all’impossibilità di proseguire un’attività nella quale sono stati fatti investimenti enormi e dalla quale dipende una parte rilevante del Prodotto interno lordo dell’intero Paese. Basti pensare che il traffico ferroviario da e per la Puglia è in parte destinato a trasportare i prodotti dell’Ilva e che questi sono indispensabili per far funzionare altri centri siderurgici in tutta la Penisola.
Tutto questo sembra destinato a finire presto.
Certo, ma con enormi danni e solamente perché nessuno ha mai detto niente. Poi, a un certo punto, è stato semplicemente stabilito che così non si poteva più andare avanti e che entro un mese l’intera attività produttiva avrebbe dovuto cessare. Ovviamente adesso l’ultima parola spetta alla magistratura, ma in tutti i casi la vera sorpresa è data dal fatto che i vari organi che dovevano occuparsi del controllo evidentemente non l’hanno fatto.
Cosa crede decideranno i pm incaricati?
E’ difficile da dire, ma i magistrati devono applicare la legge così com’è scritta, quindi se è vero che lo stabilimento è fuori norma e minaccia la salute dei cittadini, evidentemente i pm non possono far altro che trarne le inevitabili conseguenze.
Cosa crede debba insegnarci il caso Ilva?
Dovrebbe farci capire che quello che danneggia il Paese e che irrimediabilmente compromette le possibilità dell’Italia di attrarre investimenti esteri è ancora una volta la dimostrazione che da noi la grande industria si trova di fronte un ambiente ostile.
(Claudio Perlini)