Come cambiano i tempi! Fino a pochi anni fa il sogno del tedesco anziano (e più in generale del Nord europeo) era una vita da pensionato al caldo sole dell’Italia – magari tra le colline della Toscana a produrre (e bere) Chianti – o al più al clima dolce della Spagna o anche solo delle Canarie. Oggi la prospettiva di chiudere l’esistenza all’estero rischia di trasformarsi da “mitica scelta” a “drammatica imposizione”. Soprattutto quando le condizioni di salute, e di reddito, tolgono agli anziani il diritto a una libera decisione sul proprio futuro. Così, di fronte alla notizia della nonna tedesca (Frau Ludl) trasferita in Slovacchia presso una struttura più compatibile rispetto ai costi dell’assistenza legata alla sua grave disabilità, viene subito da chiedersi se sia questa la strategia vincente con cui le società che invecchiano – e la nostra da questo punto di vista è all’avanguardia – intendono affrontare i cambiamenti demografici del XXI secolo.



In fondo, se i Paesi a basso costo del lavoro producono in nostra vece quei beni che un tempo si facevano da noi, perché non dar loro anche i servizi? Quelli alle imprese li abbiamo già in buona parte delocalizzati; ora si tratta solo di passare ai servizi alle persone, anche quelli più diretti e di tipo affettivo e relazionale, e avremo così, ancora una volta, “ottimizzato” il processo. Tutto ciò sarebbe perfetto, se non fosse aberrante. Non converrebbe forse lasciare per un attimo le logiche della convenienza di tipo economico e provare a ricordarci che oltre al Pil, ai mercati e ai profitti ci sarebbero anche le “persone”?



Sì, proprio loro. Quelle che per una vita lavorano, fanno Pil, interagiscono con i mercati, producono profitti e che poi, dopo essersi dati tanto da fare, si ammalano, perdono vitalità, consumano sempre più quegli stessi beni e servizi che un tempo producevano (e dispensavano generosamente). Ma non per questo smettono di essere “persone”. E come tali mantengono il diritto irrinunciabile a un trattamento che sia ben diverso da quello che le regole della globalizzazione riservano a un impianto per la produzione di scarpe o di pentole. Hanno il sacrosanto diritto di sentire attorno a loro, anche (per non dire soprattutto) in presenza di malattie e di disabilità, non solo soggetti che se ne prendono cura, ma altre “persone” che manifestano nei loro riguardi tutto l’affetto di cui hanno immensamente bisogno.



Senza nulla togliere alle case di cura della Slovacchia o di qualunque altro luogo a costi accessibili, una società che voglia definirsi civile non spedisce gli anziani per il mondo in base a un tariffario; invece, si interroga su quale sia il desiderio dei diretti interessati e fa in modo che se, come è incontestabile, è il contatto con la propria famiglia che fa la qualità della vita nell’anziano fragile, siano appunto le famiglie ad essere messe in grado di poter rispondere adeguatamente a quel disperato bisogno di affetto, oltre che di cure, che sempre più caratterizzerà un ampio strato della popolazione di ogni società che invecchia.

Nell’Italia di oggi si contano circa 12 milioni di ultra65enni, destinati a salire a 15 milioni nel 2024, a 18 milioni dieci anni dopo e a superare la soglia dei 20 milioni nel 2040, giungendo a rappresentare il 31% della popolazione residente. Tra di essi gli ultra90enni – la componente indubbiamente più esposta alle malattie e alla disabilità – passeranno dagli attuali 554mila a 1.331mila già nei prossimi vent’anni. E’ un esercito di 800mila bisnonni in più che chiedono di poter camminare “insieme” lungo il tratto di vita che ancora li aspetta. Esaudirli è doveroso, ma è anche conveniente.

Rafforzare la cultura che vede nel patto di solidarietà tra le generazioni un principio irrinunciabile, non giova solo al “nonnino acciaccato”: è un investimento anche per il ventenne che, come insegnano le statistiche, ha una probabilità straordinariamente alta (e crescente nel tempo) di diventare un giorno, a sua volta, quel vecchietto un po’ ingombrante che tuttavia preferisce alle bionde ed efficienti infermiere slovacche il confortante brontolio e il caldo affetto dei “suoi” familiari.