In un mese si sforna un kamikaze, figuriamoci un uomo convinto di dover punire la propria compagna, sfregiandola nel profondo e uccidendola senza morte. Così inizia la storia della morte di due bambini di Umbertide, figli di una coppia di origine marocchina. Lei, giovane e ormai stufa delle continue minacce e violenze perché non porta il velo e vive in maniera normale, civile, libera. Lui, disoccupato, ormai deviato verso una visione della vita oscura e votata all’ossequio di una certa mentalità estrema. La separazione e la morte. Ecco i due elementi che contraddistinguono questa orrenda storia, in cui due bambini perdono la vita per mano del padre, che li ha sgozzati a sangue freddo, ammassandone i corpi nel bagno e tentando il finto suicidio, condito da una lettera incomprensibile. Attenuanti e tentativo di inscenare l’infermità. Anche qui due elementi piuttosto conosciuti. Non passa nemmeno una settimana dai 30 anni di reclusione comminati a Mohamed El Ayani, marito della povera Rachida di Brescello uccisa perché sostanzialmente convertita al cristianesimo, che siamo di nuovo davanti ad un caso di cronaca che dilania l’anima di chi, da genitore, pensa solo minimamente a cosa si provi nel perdere un figlio. Acmid, come nella sua natura giuridica, si presenterà parte civile anche qui, per difendere questa donna sfregiata nel profondo e praticamente depredata di ogni futuro di vita. Ma oltre alla denuncia occorre capire come e perché accadono questi episodi. Migliaia di moschee fai da te, centri culturali, garage, cantine adibite e chi più ne ha più ne metta: ecco i covi dell’addestramento dei nuovi mostri di fanatismo. Una lista di luoghi e personaggi in continua crescita, su cui l’ex sottosegretario Mantovano aveva lavorato e continuava a lavorare con quella che possiamo definire la “defunta” Consulta per l’Islam Italiano, che oggi non parla più perché soppiantata da un organismo indefinito. La dinamica dell’indottrinamento, su soggetti in chiare difficoltà psichiche e quindi facilmente manipolabili, è chiara: “o la tua vita, e in essa compresa la famiglia, va in una certa direzione oppure devi, e sottolineo devi, eliminare ciò che si frappone fra te e i nostri dettami” di radicalismo applicato.
Ed ecco la lama che viene man mano sfoderata, per affilarsi laddove la carne è più sottile e più facilmente viene trapassata. I bambini di Umbertide lo hanno vissuto sulla loro pelle e la morte li ha colti dopo aver aperto la porta di casa al proprio padre, che loro mai avrebbero pensato potesse sgozzarli. Il dolore di una madre non può e non deve essere spiegato, soprattutto in un Paese dove le donne, direttamente o indirettamente, vittime di violenza sono sole. Fuori e dentro i Tribunali, dove la giustizia se aiutata da chi conosce quel mondo agisce in maniera esemplare, ma l’opinione pubblica rimane in silenzio. La domanda che spesso mi faccio, uscendo dalle aule dove si consumano le udienze drammatiche per la morte delle donne, è questa: trent’anni, con sconti, attenuanti e sconticini, sono la pena adatta per chi si appropria della vita di un innocente? Se la morte non è una pena coerente con un sistema di diritto, qual è la giusta condanna per chi spezza due piccole vite nel sangue, gettando nel baratro la donna che le ha generate?