BOSTON – Lo scorso 6 novembre, congiuntamente all’elezione presidenziale, è stato chiesto agli elettori del Massachusetts di pronunciarsi sul cosiddetto “suicidio assistito”, di cui ho scritto due giorni fa. Il risultato di questo pronunciamento è passato sotto silenzio, un po’ perché oscurato dall’entusiasmo per la rielezione di Obama, un po’ perché in netta controtendenza rispetto alle inarrestabili riforme “progressiste” in materia di diritti: il 51 per cento dei votanti in Massachusetts ha votato no al suicidio assistito.
Il risultato è particolarmente simbolico, considerando la fama del Massachusetts di stato più liberal d’America e considerando che in questa tornata elettorale sono state approvate le nozze gay (Maryland e Maine) e la legalizzazione della marijuana a scopo ricreativo (Colorado).
Si tratta senza dubbio di una vittoria importante della ragione contro l’ideologia, che pone un argine definito a qualunque iniziativa futura volta all’introduzione del suicidio assistito per vie diverse da quella referendaria.
D’altra parte, occorre tenere conto dell’altra faccia della medaglia: il 49 per cento degli elettori ha votato a favore. Questo significa, come ha detto all’indomani del risultato il promotore del referendum, che è stata una sconfitta per un soffio e che non si potrà ignorare il parere favorevole di una fetta così ampia della popolazione. Qualcosa si farà.
C’è un fatto particolarmente scioccante dietro a questo 49 per cento di voti favorevoli, che il lettore italiano stenterà probabilmente a credere. In Italia ci si aspetterebbe che in un referendum del genere la Chiesa Cattolica fosse l’unica voce contraria, in netta contrapposizione all’intellighenzia laica (giornali, associazioni mediche, intellettuali, ecc.) schierata in blocco a favore. E invece questa volta no. Erano tutti d’accordo che si dovesse votare contro, perché la legge era scritta male e apriva a scenari inquietanti e incompatibili con la deontologia della professione medica. Per una volta l’American Medical Association, la Massachusetts Medical Society e persino il New York Times (bellissimo l’editoriale del disabile Ben Mattlin che dice: “io sono di più della mia diagnosi e della mia prognosi”) erano dalla stessa parte della Chiesa cattolica! Quando addirittura il laicissimo Boston Globe, qualche giorno prima del voto, ha pubblicato un editoriale schierandosi contro il suicidio assistito, un amico mi ha scritto un’email semplicemente dicendo: Wow, I can’t believe it!
La convergenza inaspettata tra la Chiesa cattolica e istituzioni di solito ferocemente critiche nei suoi confronti è un fatto straordinario che testimonia l’oggettività della ragione quanto se ne fa un uso non dogmatico. Sia chi riflette da un punto di vista religioso, sia chi riflette da un punto di vista puramente scientifico, questa volta sembra aver visto con evidenza la stessa cosa: il suicidio è una tragica sconfitta e non un traguardo etico.
A fronte del “no” di esperti, medici, intellettuali e uomini di fede, c’è da chiedersi da chi sia composto allora quel 49 per cento che ha votato a favore, egualmente sordo alle ragioni della scienza e a quelle della fede. La mia ipotesi è che faccia capolino qui un identikit umano tutto da studiare, che potremmo battezzare temporaneamente “progressholic”. Nella nostra società incline alle dipendenze, c’è chi sviluppa un’ossessione compulsiva per l’alcol (alcoholic), chi per il lavoro (workaholic), chi per lo shopping (shopaholic) e chi per l’idea che ogni desiderio debba essere trasformato dallo Stato in diritto, indipendentemente da qualsiasi verdetto della ragione.
Per il fumatore incallito, il piacevole pizzicore del fumo che scende in gola vale più di mille ragioni che lo indurrebbero a smettere. Per il progressholic il piacevole pizzicore nell’animo che si prova mettendo una crocetta a favore del movimento necessario della storia verso una società più tollerante non ha prezzo. La questione specifica, le dovute distinzioni, gli argomenti, le cautele legislative, tutto questo per il progressholic non conta. Il progressholic è, in fondo, un vitalista: sente agitarsi nell’intimo l’élan vital che scuote di dosso le secolari catene di oppressione e ingiustizia e pronuncia il suo sì. Medici, vescovi, intellettuali, capiranno. La ragione, in fondo, è fredda e calcolatrice, la compassione e la tolleranza scaldano il cuore.
Per ora il peggio è scongiurato, la legge sull’eutanasia non è passata nel Massachusetts e questo è un fatto. Il 49 per cento dei votanti a favore dovrebbe però far riflettere l’intellighenzia laica sul fatto che il tipo umano che essa ha pazientemente modellato negli ultimi decenni, in nome della pura ragione, ora non sembra più disponibile ad ascoltare la voce della ragione. Lo scenario rimane, dunque, piuttosto inquietante.
In conclusione, mi limito a tirare un sospiro di sollievo e ad augurare a tutti i progressholic una pronta guarigione.