Aveva cominciato il Presidente Ciampi a far sventolare i tricolori, per rinverdire il senso di patria. Ricordate? Un kit ad ogni studente, con tanto di bandiere, costituzione e dischetto con la “marcetta” di Mameli. Lodevole iniziativa, i francesi sanno a memoria la Marsigliese, gli inglesi Good save the Queen e gli americani, beh, li abbiamo appena visti, che si commuovono avanti alla “bandiera adorna di stelle”. Noi sarà che siamo un paese relativamente giovane, sarà che siamo abituati all’invasor, sarà che siamo un coacervo di piccole patrie e campanili, questa storia di Fratelli d’Italia non l’abbiamo mai mandata giù. A chi piace di più il Nabucco, a chi O Sole mio.
E’ che il Risorgimento, checchè ci abbiano ripetuto alla nausea con la retorica di questi anni, l’Italia non l’ha unita affatto, se non con uno Stato pesante e mal digerito da più parti. Con un’ideologia che scardinava i valori e i sentimenti di popolo radicati da secoli, imposta nelle scuole di ogni ordine e grado, vigilata coi pennacchi di collodiana memoria. Qualcuno l’ha detto, nelle miriadi di celebrazioni in pompa magna per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Perché ci sia amore alla Patria, bisogna sentirsi popolo. I simboli? Contano, se c’è il cuore.
Se c’è l’appartenenza a una nazione, non solo a uno stato. E’ un po’ come per l’Europa: c’è la bandiera, ci sono le occasioni ufficiali, c’è la moneta (l’Italia manco più quella), ma un’anima comune, non c’è, o la si è voluta cancellare, perfino dalla Costituzione. Ora, l’Europa è a Bruxelles o a Strasburgo, e ultimamente ci inquieta parecchio, è pesante e arcigna, altro che il sogno dei padri fondatori. L’Italia è di più, perché tutti noi abbiamo un nonno o le sue memorie che ci raccontano il sangue, i sacrifici versato. E prima ancora, un bisnonno che ci sperava, in una patria libera da Borbone e Asburgo, una patria libera magari pure dai nostri poveri re, e baldanzoso ha gettato i suoi vent’anni perché ci ha creduto, e pensava che valesse la pena spendersi, lasciare la mamma e la fidanzata per morire su un prato, la camicia bianca o rossa trafitta da una baionetta. Sono certa che ai ragazzi, anche se il libro Cuore è scritto all’antica e non va più di moda, le stesse storie, raccontate con le parole giuste, riescono ancora a muovere la passione e l’orgoglio.
Sono certa che gli eroi, sfrondati dagli allori sui busti di gesso, suscitano ammirazione e desiderio di imitazione. E ripensandoli, magari viene anche più voglia di fischiettare Fratelli d’Italia, sorvolando sulle parole, che proprio risultano oggi incomprensibili. “Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte”. Insomma, dipende. “Dovunque è Legnano…ogn’uom è Ferruccio…il sangue polacco…” Di che parlano? La storia si studia pochino, e comunque non in tali dettagli. Ora hanno reso obbligatorio per legge imparare a memoria l’Inno d’Italia, e spiegarlo nelle scuole, dalle elementari al liceo. Bene, bella idea.
Forse era meglio consigliarlo caldamente, non imporlo per legge. Forse è meglio educare all’amor di patria senza affidarsi troppo ai simboli, ma badando alla sostanza. I gagliardetti e le marcette sono s’altri tempi, per fortuna, insieme ai filmati dell’Istituto Luce. Apprendre par coeur, traducono i francesi: imparare a memoria. Par coeur, con il cuore. Si appartiene a una patria, ci si sente patria, non solo quando gioca la Nazionale.
Perchè si crede in chi la governa, ci si fida delle istituzioni, della giustizia, si custodisce il suo patrimonio di valori e riferimenti ideali. Perché si respira l’aria che ha respirato Dante, Giotto, Michelangelo, Leonardo, Caravaggio, Manzoni… i nostri santi e sante, che all’Italia ci hanno creduto prima che avesse un inno e una bandiera. E’ troppo difficile, educare a un sentimento così? E’ più efficace una circolare ed un obbligo?