Non è stata colpa di bullismo e omofobia, come invece avevano gridato un po’ tutti sconvolti dopo la notizia del ragazzino di 15 anni morto suicida. In special modo i social network, come sempre in casi analoghi, ma anche molti media avevano lanciato l’ennesimo allarme omofobia: un ragazzino che si uccide perché preso in giro dai compagni di scuola per le sue stranezze, ad esempio quella di dipingersi di rosa le unghie o indossare pantaloni rosa. Su Facebook la campagna in suo ricordo si chiamava infatti “il ragazzo con i pantaloni rosa”. Adesso, dopo le prime indagini svolte sul caso, gli inquirenti sostengono che dietro la decisione di togliersi la vita non ci furono né omofobia né bullismo. E’ quanto peraltro sostenevano gli stessi compagni di classe del ragazzo, che avevano scritto lettere e parlato di accuse ingiuste nei loro confronti: nessuno aveva cercato di isolarlo o farlo oggetto di derisione, era invece ben integrato con i suoi compagni e anche la pagina facebook che sembrava prenderlo in giro sarebbe stata aperta con la sua partecipazione e consenso. Comunque il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e il sostituto Pantaleo Polifemo hanno intenzione di indagare ancora. Vogliono infatti parlare con i genitori del giovane per cercare di capire se in famiglia si fossero notate avvisaglie di quanto stava per fare, magari dettato da “un fatto intimo” come hanno detto. Forse nel passato della famiglia si celano le oscure ragioni del gesto. Gli inquirenti parleranno anche con altri parenti del ragazzo suicida. Suicidio che ricordiamo avvenne lo scorso 20 novembre scatenando polemiche e accuse sulla Rete e sui principali giornali. In una intervista con il sussidiario.net, il professor Meluzzi aveva in qualche modo anticipato le conclusioni a cui sono giunti gli inquirenti: “La fobia dell’omofobia è patologica e pericolosa tanto quanto l’omofobia stessa. Interroghiamoci piuttosto sulla solitudine e sulla sofferenza di un ragazzo che evidentemente non aveva trovato ascolto e accoglienza dove avrebbe dovuto trovarle, famiglia e scuola”.
Meluzzi aveva anche aggiunto: “Le scuole non devono essere sinonimo di violenza o di bullismo, ma pensare allo stesso tempo che vadano affidate alle procure della Repubblica, procure a cui abbiamo già affidato la tutela della morale pubblica o dello Stato, è un errore. Se affidiamo alle procure della Repubblica anche la pedagogia dei bambini non solo non risolviamo alcun problema ma ne creiamo uno ancora più grande”.