Non c’è più la mia mamma e il 30 di dicembre saranno tre anni. Talvolta sovviene di ricordarla e in cuor tuo pensi che tua madre avesse un qualcosa della Madonna… e non solo perché si chiamava Maria. Ho due immagini nitide di mia mamma: la prima di quando a Viareggio, d’estate – erano gli Anni Sessanta – passava un velivolo sopra le spiagge che sganciava regali. E tutti correvano per accaparrarsi quel dono. Anche mia mamma, che allora aveva 40 anni, correva, correva per me, per esaudire un qualcosa che puntualmente non si avverava, almeno come volevo io. Però quella partecipazione al mio desiderio – ora ho capito – me l’ha fatta sempre sentire vicina alla tenerezza di una Madonna. L’altra immagine è la sua cura nel fare la spesa, secondo la legge mai scritta che in tavola dovevano arrivare solo i prodotti di stagione. Mia mamma non aveva un grande bagaglio di ricette, giacché la sua, di mamma, era rimasta vedova troppo presto e più che cucinare doveva lavorare nei campi, produrre, fino alla vigna su quella strada dei Mogliotti dove ogni anno, sotto Natale, io passo sempre. Però le poche ricette di famiglia che conosceva erano perfette: gli agnolotti, la bagna caoda, e poi lo stufato che serviva con gli spinaci oppure con le verze tagliate fini e impreziosite di olio, acciughe e aceto di vino rosso. Sul mio libro per la famiglia, Adesso, ho voluto, per questo mese, la ricetta di questa carne che raramente ti propongono al ristorante (ahimè) e che mia madre cuoceva mettendo all’interno un grosso spicchio d’aglio per insaporirla. Il termine deriva dal boeuf à la mode francese. I ricettari francesi alla fine del ‘700 e per quasi tutto l’800 erano una grande fonte di ispirazione per la Corte sabauda e, di conseguenza, per quella parte italiana che più sente l’aria di Francia che è il Monferrato. Già sull’edizione del 1781 de Il cuoco maceratese di Antonio Nebbia compariva “Il bò alla Moda” cotto nel vino di “Sciampagna”. La ricetta del Vialardi prevede il Marsala e mantiene i tartufi neri secondo l’uso francese. L’Artusi, che ha contribuito a fare “l’Unità d’Italia” in cucina, riprende la ricetta impoverendola dei suoi ingredienti più costosi per renderla accessibile a un maggior numero di consumatori. E la ricetta di mia mamma era su questa scia, giacché non apparivano né il tartufo, né il prosciutto.
Ingredienti per 8 persone:
• 1,5 kg scamone
• 80 g di tartufi neri
• 150 g di prosciutto cotto tagliato a bastoncini (1 cmq di sezione)
• 150 g di lardo tagliato a bastoncini (1 cmq di sezione)
• 1 carota
• 1 cipolla media
• 1 costa di sedano
• 4 rametti di timo
• 1 foglia piccola di alloro
• 1 bicchiere di vino bianco
• 3 bicchieri di brodo vegetale
• 1 noce di burro
• olio extravergine di oliva
• sale, pepe di mulinello
Sbucciate i tartufi, mettete le bucce in un pentolino, unite 1,5 dl di acqua e una noce di burro e fate bollire il tutto a fiamma bassissima e con pentolino coperto, per 7-8 minuti. Lasciate riposare 10 minuti e filtrate il liquido rimasto attraverso un colino fine. Tagliate i tartufi sbucciati a bastoncini aventi una sezione di circa 6 mm. Appoggiate il pezzo di carne su un tagliere e, utilizzando l’apposito ago per lardellare, inserite all’interno i bastoncini di tartufo, quelli di prosciutto e quelli di lardo, facendo file alternate (mia mamma metteva solo aglio e usava il rosmarino). Legate quindi il pezzo di carne con spago da cucina. Scaldate un filo di olio in un tegame e fatevi rosolare il pezzo di carne su tutti i lati. Quando rosolate la carne sull’ultimo lato, salate, pepate e aggiungete il mazzetto aromatico e le verdure tagliate a pezzetti.
Bagnate con il vino bianco e il Marsala, fate evaporare un poco, mettete il coperchio e cuocete a fuoco dolce finché tutto il fondo di cottura sarà notevolmente ridotto. A questo punto versate 2 bicchieri di brodo e proseguite la cottura finché la carne risulterà tenera (in totale, almeno 2 ore e mezza). Nell’ultimo quarto d’ora di cottura, aggiungete il liquido al tartufo filtrato. Servite la carne affettata cosparsa con il fondo di cottura passato al setaccio e guarnita con patate al forno e con carote stufate. La carne stufata, in bocca si sfilaccia ed è assai succulenta.
Per questo si deve cercare l’abbinamento con un grandissimo vino, come un Nizza. Il mio stufato lo accosterò al Nizza, Barbera d’Asti “Vigna dell’Angelo” dell’azienda La Barbatella. Non vedo l’ora.