Approvate definitivamente dalla commissione Affari costituzionali della Camera le intese con l’Unione induista italiana e l’Unione buddhista italiana. Si tratta delle due prime intese con religioni orientali, dopo le altre già siglate. Il relatore Roberto Zaccaria, deputato del Partito democratico, ha espresso grande soddisfazione “perché – spiega in una nota – si perfeziona così un iter procedurale complesso che risale a molti anni addietro. Da un altro punto di vista questo voto riveste un’importanza storica. Si tratta delle prime due intese con confessioni non cristiane nel nostro paese. Per IlSussidiario.net abbiamo sentito il commento di Romeo Astrorri, docente di Storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa nell’Università Cattolica del Sacro Cuore e membro del comitato scientifico del Centro Studi e Ricerche sul Concilio Vaticano II istituito presso la Pontificia Università Lateranense.



Che significato riveste la firma di questa intesa?

L’intesa con i buddisti risale al 2000 e poi è stata firmata nel 2007 ed è rimasta in Parlamento per molto tempo: con quella con gli induisti fa parte delle “intese difficili” e comprendenti religioni che non fanno parte del ceppo cristiano o all’ebraismo. Fino al ’96 le intese firmate erano tutte collegate al cristianesimo come valdesi, luterani, battisti o avventisti. Nel 2000 si firmò l’intesa con i testimoni di Geova che, però non è ancora stata approvata, mentre in agosto sono state approvate quelle con la chiesa ortodossa e i mormoni. Quindi, con la firma di oggi, il panorama delle confessioni si allarga.



In concreto, che cosa cambia?

Ad esempio, un matrimonio celebrato davanti ad un ministro di culto è considerato valido dallo Stato italiano. Entrambe le religioni entrano a far parte della lista nel modulo dell’ 8 per mille, uno dei sistemi di finanziamento più aperto fra tutti quelli a disposizione delle confessioni europee. Il sistema delle imposte ecclesiastiche vale, infatti, solo per alcune religioni ma non per queste: addirittura, in Spagna, solo per la Chiesa cattolica. Inoltre, possono usufruire di maggiori spazi di libertà religiosa rispetto alla legge sui culti ammessi, che presenta una “istituzionalizzazione” molto forte della religione e che risale al 1929.



Non è un controsenso che ci sia ancora una legge datata 1929?

Certo. Negli anni 90 il disegno era quello di cambiare la legge sui culti ammessi e poi di approvare quella sulla libertà religiosa. La seconda è andata avanti, mentre la prima è stata bloccata per l’esplosione dell’islam, poi per la vicenda delle Torri Gemelle e la conseguente paura del fondamentalismo islamico.

 

Le intese sono, dunque, sufficienti?

 

Sono piuttosto ripetitive e fatte con lo stampino. Se ci fosse stata una legge sui culti ammessi, invece, sarebbe stato possibile entrare nel merito delle specificità delle singole confessioni religiose. Ora, invece, le intese hanno linee troppo generiche.

 

Come si attesta l’Italia nel panorama europeo in quanto a libertà religiose e protezioni giuridiche per le varie confessioni?

 

In Italia, dopo la firma delle cinque intese con le altre confessioni, sebbene siano rimaste cinque anni nel limbo fra la firma e la trasformazione in legge, la bilateralità è garantita in pieno. Negli altri paesi europei c’è meno libertà religiosa. Ad esempio, in Spagna ci sono tre intese, il concordato e due che possono essere considerate imposizioni del Governo piuttosto che accordi veri e propri.

 

Non ci sono punti deboli?

 

Innanzitutto, manca una legge sulla libertà religiosa. E’ stato presentato un progetto di legge durante il governo Prodi nel 1997 e poi durante l’esecutivo Berlusconi quando il disegno di legge era approdato in aula ma, dopo due giorni, era stato rimandato in Commissione per essere corretto. E poi sullo sfondo c’è il problema dell’islam.

 

Come si inserisce questa “vecchia” legge con le richieste di costruzioni delle moschee? Ad esempio, quella di Milano viene rimandata da molti anni.

 

Il diritto ad avere edifici di culto è parte del diritto di libertà religiosa e come tale è garantito dalla Costituzione.

 

E’, quindi, un problema politico?

 

Ribalto la questione. Il problema delle moschee non è legato alla libertà religiosa ma a ciò che si predica. Se vengono controllati i luoghi legati all’islam, occorrerà fare la stessa cosa con tutti gli altri e, a quel punto, si aprirebbero problemi legati a interferenze fra Stato e autonomia delle singole confessioni: quindi, la negazione stessa del diritto di libertà religiosa. La legge sui culti ammessi, comunque, non si occupava di questo.

 

Come giudica i rapporti fra Stato e Chiesa?

 

La bilateralità e la disciplina “concordataria” sono modelli che garantiscono libertà di culto. Rispettano la pluralità e l’autonomia delle confessioni religiose.