Il punto di partenza non è accettare la realtà. Accettare che una buona parte del mio capannone di Massa Finalese è andato distrutto nel terremoto che si è mangiato la mia terra, la “Bassa”, come la chiamavano Don Camillo e Peppone. Tutto ciò è riduttivo. Credo che occorra andare più a fondo. Normalmente io, e penso quasi tutte le persone, tendiamo a vivere con la pretesa che la vita sia il tracciato preciso e netto di ciò che abbiamo in mente, che abbiamo progettato: insomma, che abbiamo sognato. Partendo dal lavoro e arrivando sino a mia moglie e ai miei figli. Tutto, ma proprio tutto, deve essere come lo vogliamo e se sgarriamo di un’unghia, il nostro mondo cade in pezzi.



Invece, ripensando a tutto il percorso che ho compiuto, dal giorno della prima scossa sino ad oggi che è Natale, mi guardo indietro e vedo un grande fiume in piena. Un’onda benefica, partita con una telefonata della Cdo, che si è propagata intorno a me. Da allora ho cominciato a vedere le cose in modo diverso, insieme agli altri e per gli altri. E pensando al Natale che, spesso viene percepito come un fatto importante ma lontano, posso dire con orgoglio che quest’anno lo sento talmente vicino da averlo davanti e sentire un caldo abbraccio. L’abbraccio di Gesù. Perché allora limitarsi ad accettare la realtà, se posso vivere ciò che mi è accaduto come un occasione di crescita personale nella braccia di Gesù? Perché chiudersi in se stessi e vivere nel lamento se, intorno a me e alla mia famiglia, ci sono persone che mi hanno amato e mostrato il lato più vero e positivo della vita?



Posso dire di aver sentito una “presenza”: Gesù c’è e passa attraverso le persone che mi circondano. E posso assicurare che è la cosa più bella che esista. La mia vita ha acquistato tutto un altro valore quando la mia mano vuota, svuotata dalla mia pretesa, si è trasformata in desiderio. Quando la mia posizione si è trasformata in domanda, in desiderio. Ora sì che posso vedere con una chiarezza trasparente le cose che accadono e posso dar loro il giusto peso.

Dopo l’abbraccio che ho ricevuto non sono più solo un padre, un marito o un imprenditore ma, grazie a ciò che mi è rimasto dentro, sono un uomo cambiato. Quel “qualcosa” ha dato una modalità diversa alla mia realtà quotidiana. E’ una posizione solida che chiede il cambiamento del mio vecchio Io, del mio Io che pretendeva. Ora “vivo” di più e che godo anche delle gesti più piccoli. 



Oggi ringrazio quel “fiume in piena” che mi ha aperto gli occhi. Ringrazio le insegnanti di Modena e Mirandola, Cristina Rossi e Valentina Bedin che sono venute da noi a cercare i loro alunni nella tendopoli: i ragazzi sono rimasti senza parole quando, smarriti per giorni, hanno visto le loro professoresse che “si erano calate” per loro e si sono accessi improvvisamente. Le tende hanno cominciato a vivere, grazie a lezioni improvvisate e sono nati persino laboratori estivi che hanno dato risposta, non alle pretese, ma ai desideri di ognuno: c’è chi ha imparato meglio l’inglese, la matematica o chi a suonare il violino o la chitarra. Lo studio è diventata una magnifica occasione per stare insieme: i ragazzi era attenti, ricettivi. E ci siamo ritrovati a ridere con Valentina che ricordava quando spesso richiamava l’attenzione dei suoi alunni dicendo “Non ne posso più, se questa scuola crollasse!”. La scuola è collassata davvero, ma adesso i suoi ragazzi erano vigili e attenti come non mai e avrebbero voluto tanto riaverla.

Ringrazio le tante persone del mio paese con cui ho stretto un legame più reale e più vivo, con cui escono i bisogni di tutti e l’amore circola in forma di vicinanza e aiuto. Ricordo alcuni conoscenti atei che hanno accettato di essere aiutati da una coppia di nostri amici, Riccardo e Anna, che si sono offerti di prestar loro una roulotte. Quando hanno visto Anna, malata di sclerosi multipla, libera e serena, arrivare da loro offrendo ciò che aveva a persone che nemmeno conosceva, si sono aperti al mondo. Prima erano chiusi in se stessi, nella loro casa e dietro le inferriate del loro giardino: quando tutto è crollato erano disperati. Quel gesto li ha fatti fiorire umanamente. Ora Anna non sta bene e abbiamo rimandato a tempi migliori quella cena che dovevamo fare a casa loro con tutti i nostri amici. Natale lo dedico ad Anna e a quel “fiume in piena” che ha invaso la “Bassa” dopo il terremoto. 

(Alberto Malagoli) 

Leggi anche

TERREMOTO EMILIA/ "Casa Lucciola": l'accoglienza non si ferma, ma c'è bisogno di aiutoDIARIO EMILIA/ Così il "terremoto" del Natale spazza via le macerie dal cuoreTERREMOTO/ Il blocco degli aiuti Ue: uno "sgarbo" all'Italia?