Il Natale è qui, è qui, è qui.

La nascita è imminente, è inevitabile.

Da vecchia ostetrica, riconosco la resa del dolore, la presa della paura; il formicolio nel collo di chi sta china ormai da ore sull’orlo dell’evento.

Lei, è stanca: lo so che crede di non aver più forza, e con ragione: la forza ormai non serve, è la vita che spinge a prendere il sopravvento, alla madre il coraggio di lasciarla passare, di lasciarsi aprire come un chicco di grano.



Lui, è emozionato: lo conoscerà, evviva. Lo vede, quel ciuffo di capelli che affiora, bagnato e delicato, quella sommità del capo che presenta come inchinato, come per essere battezzato.

È sul padre che io faccio conto, sul sua sorpresa, sulla sua voce; sulle sue braccia, gli dico “reggila” e lui che chiaramente abbraccia entrambi sussurra, grida, prega: “amore, spingi, amore, ormai ci siamo, lo vedo, amore, è qui”.



Quando ho cominciato la scuola di ostetricia Le ho promesso: assisterò ogni donna come se fossi Tu, ma Tu assisti me ogni volta. Che le mie mani Ti appartengano.

Da parte mia non sono sicura di aver tenuto sempre fede al patto, ma Lei sì. Posso con sollievo guardare ai miei vent’anni di parti, ho assistito a dei miracoli. Non ho commesso peccati mortali.

Il Natale è così simile alla Pasqua: hanno in comune il dolore, una piccola morte (e chi ha partorito sa a cosa alludo, a quel momento preciso in cui il figlio ti lascia, esce da te e senti il vuoto nel ventre fino al cuore) un utero (quello di carne e quello di pietra) e un ritorno. 



Quando, raccolto il neonato nuovissimo, lo riappoggio pelle a pelle sulla mamma; quando il Figlio Novissimo, incontra Sua Madre e ritorna appoggiarsi sul mondo. 

È il momento che prediligo, quello che mi da pace, quello che da senso a tutto il mio lavoro, il nostro lavoro, che è vivere. 

Quando lei guarda lui. 

Quando Lei guarda Lui.

E il padre (il Padre) si scosta, preso da una ammirazione sconfinata; spesso lo vedi con la faccia bagnata. 

E io mi metto a fare qualcosa, qualsiasi cosa, che sia anche solo porgere un panno o fiatare, come un asino o un bue, pur di godere della loro Presenza.

È un onore stare a guardare quello sguardo. Ricordare che ci è stato dato; che possiamo, se vogliamo, restituirlo. Stare in Sala Parto come in un presepe. 

Stare nel Natale.

il cielo dorme a braccia alzate
quando respira solleva le montagne
e vedi le maree sotto le palpebre.
Tutto è fatto a forma di figlio
la cavità virtuosa che lei si porta dentro
il movimento delle braccia di lui
quando lavorano, lo spazio tra il desiderio
e l’insperato. Tra il primo e l’ultimo vagito.