Passato il Natale, capita spesso di trovarsi in una sorta di limbo, come se si vivesse in un qualcosa di sospeso. Non t’eri mai accorto del pianoforte sopra il tuo ufficio, ma nel silenzio di un giorno muto le note di Chopin spiccano come una fioritura d’inverno. E tutto ciò, come minimo, ti sembra bello. Natale, Santo Stefano, poi Capodanno San Silvestro: ci si barda, ci si muove, pacchetti e pacchettini, baci e abbracci e chiacchierate. Era un anno che si attendeva di arrivare alla fine, anche solo per staccare, ma che peccato vedersi in questi giorni di libertà a bruciare istanti con la stessa intensità di un combustibile. Che alla fine lascia cenere, senza traccia. Io penso che l’avventura speciale di ogni momento sospeso sia proprio vivere qualcosa che diventi memorabile, che sostenga la vita. Come due innamorati che si incontrano dopo tanto tempo, anzi tutto il tempo passato prima era per quel momento lì. Che cementifica una certezza, una strada, una meta certa per cui andare avanti, ancora, insieme. Trovarsi tra Natale e Capodanno tra parenti e amici è un po’ la stessa cosa, se lo si desidera davvero. Sul mio libro per la famiglia Adesso, una delle ultime pagine dell’anno è di un monaco benedettino che vive a Monte Giovo, sopra Pesaro. Quando sono andato a trovare padre Natale per chiedergli di collaborare, ho avuto il privilegio di stare a messa in quella chiesa circondata dalle casette autarchiche, dove i monaci camaldolesi si ritirano per stare con se stessi, o meglio con l’Altro. Dall’alto di Monte Giovo vedi prima i boschi che circondano l’abitazione, poi la piana con le strade che si incrociano… e le auto che vanno e vengono. Ma dove vanno veramente? vien da chiedersi dall’alto di quell’oasi di pace. Ebbene padre Natale mi ha regalato dodici pillole per il mio libro, sul senso delle parole, che uno può anche prendere come “sono le considerazioni di un religioso, è il suo mestiere”. Oppure può farle proprie, religione o non religione. La parola del mese di dicembre è dunque Hesychìa: quiete. Scrive padre Natale. “Questa parola, in realtà, sembra molto lontana da ciò che viviamo quotidianamente: perché siamo immersi in rumori, suoni, colori, ritmi frenetici nel lavoro, nella famiglia e anche nel tempo libero. L’hesychìa ci spinge invece a cercare quel luogo profondo di noi, dove possiamo trovare la vera nostra identità e quell’immagine e somiglianza con Dio. 



Letteralmente hesychìa richiama lo stare seduti e fermi; ma è soprattutto un atteggiamento, è un habitare secum, uno stare con se stessi, perché ci si conosce e ci si ama; non si è schiavi di un’apparenza o di un ruolo ma ci si presenta come si è veramente. L’hesychìa ci fa sperimentare che il silenzio non è mutismo, ma la condizione per dare il giusto valore alle parole, così come in uno spartito musicale le pause permettono il riecheggiare delle note. L’hesychìa significa creare un vuoto affinché possiamo accogliere in noi il dono grande dell’altra persona e il dono grande della vita. Essa ci permette di vivere come persone che non hanno il fiato corto, ma sanno ricevere e donare vita in modo fluido e sciolto”. Tutto questo c’è anche, se lo si cerca, dentro a un bicchiere di vino, come quello immenso di Gianfranco Soldera, un Brunello di Montalcino che ho assaggiato in questi giorni dove sembra che qualcosa, per un attimo, si sia fermato. E ho scoperto che il vino “ascoltato” è un hesychìa da ultimo dell’anno, quasi come un Te Deum.

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