La notte della Vigilia in un villaggio nel nord-est della Nigeria. Nella piccola chiesa di Peri, a poco meno di due chilometri da Potiskum, capitale dello stato di Yobe, la comunità sta per celebrare il servizio di Natale, tutti attendono la festa. All’improvviso un commando armato fa irruzione, spara raffiche di mitra, cadono prima il pastore e poi cinque fedeli. Sono gli ultimi martiri, fedeli della chiesa Evangelica dell’Africa occidentale, cristiani chiamati a condividere il destino di Stefano, diacono e primo martire della storia. Oggi come due millenni fa per Cristo si muore. Allora i persecutori erano gli scribi e i liberti del Sinedrio di Gerusalemme. Nella Nigeria ostaggio dei fondamentalismi i sospetti ricadono sul gruppo islamista radicale dei Boko Haram. Un tempo le pietre, ora le pallottole. Non un caso isolato: i cristiani sono vittime di violenza in molte zone del mondo. Una persecuzione silenziosa, quasi nascosta: forse non c’è la consapevolezza che animava Stefano, il suo ardore nel testimoniare l’amore di Cristo, ma l’appartenenza sì, come l’identità che si paga con la vita. Benedetto XVI ha ricordato i martiri nigeriani ieri, nel suo messaggio Urbi et Orbi, completamente dedicato ad una terra rinnovata dall’Incarnazione. Stefano invece è stato l’oggetto della sua riflessione di oggi all’Angelus, nel giorno dopo l’euforia Natalizia, da sempre consegnato alla memoria di questo diacono pieno di Grazia e di Spirito Santo, raccontato dagli Atti degli Apostoli, come totalmente plasmato da Dio. Un uomo tutto compreso nel Mistero della Croce. Uno che prima di morire, strattonato ed esposto alla lapidazione fuori delle mura della città, ripete le parole di Gesù sulla croce e perdona i suoi nemici. Non sappiamo se così hanno fatto quei 6 nigeriani sopresi prima di glorificare Dio, nella notte di Natale. Ma il Papa ci dice che ne occorrerebbero molti, di uomini e donne, capaci di dare testimonianza convinta e coraggiosa della propria fede. Se con il Natale siamo stati rapiti dalla bellezza del Bambino, figlio di Dio, la liturgia oggi ci immerge nel Mistero di Cristo, ci costringe ad assimilare la sua parola, la sua presenza. E Benedetto XVI ci invita a guardare il destino di Stefano, la sua fede senza tentennamenti, la sua passione per Cristo, la sua gioia persino nell’ora della morte. Una possibilità di felicità che nasce solo dall’incontro con il Bambino della mangiatoia, con Colui che ha rinnovato la terra. Parlando al mondo, ieri, il pontefice citava l’amato Agostino per spiegare come in quel Gesù nato a Betlemme da una ragazza di nome Maria “realmente l’amore e la verità si sono incontrati, la giustizia e la pace si sono baciate” .
La profezia di un Salmo si avvera, ogni anno, in maniera confortante e puntuale: “Che cos’è la verità? Il Figlio di Dio. Che cos’è la terra? La carne. – spiegava l’Africano – Domàndati da dove è nato Cristo, e vedi perché è germogliata dalla terra…la verità è nata da Maria Vergine”. L’infinito che si fa bambino e che entra nell’umanità. E si fa speranza, giustizia, pace. Per questo, e solo per questo, l’elenco di situazioni e luoghi feriti dalla storia e dalla stupidità degli uomini. Le regioni dove occorre riconoscere la Speranza per veder germogliare la Pace. Dalla Siria, con le sue stragi di bambini alla Terra Santa, perennemente lacerata, dal nord – Africa attraversato da sogni di democrazia e libertà, al Mali e alla Nigeria, dove si muore mentre si canta l’Adeste fideles. E ancora il Congo, il Kenya, la Cina dove cambiano i vertici del potere ma non le politiche in materia religiosa. L’Italia con il suo bisogno di “bene comune”, stabilità e scelte importanti. Angoli del pianeta che attendono di diventare “terra buona”. Terra salvata dal sorriso del Bambino.