Un italiano su tre è stato a casa durante le feste di Natale. Per seguire la politica in tivù? Per non perdere la Prova del Cuoco? Oppure perché ha riscoperto il gusto dell’essenzialità? Tra pochi giorni metterò nella libreria il mio libro Adesso 2012, che sfoglierò ogni tanto come gli altri quattro, dal 2008. Sul leggio ho già posizionato quello del 2013 che s’apre, a gennaio, con il Te deum di Pierluigi Magnaschi, direttore di Italia Oggi, arguto cronista dei nostri tempi, capace di leggere i segni dell’eroica quotidianità. Lo scorso anno, nella chiesetta di un agriturismo sulle colline moreniche del Garda leggemmo quell’articolo, prima del Te Deum laudamus, che è una preghiera bellissima, capace anche di farti gustare meglio il cotechino con lenticchie (quello di quest’anno lo vado a prendere a Pegognaga da Davide Cose buone) oppure le ricce con la coppa piacentina (perché la coppa e la pancetta sono di Piacenza, su questo non si devono avere dubbi). Ora, non so cosa la gente porti con sé e dentro sé al Te Deum, sicuramente una speranza, che nasce dalla consapevolezza d’esserci, comunque sia. Questo è stato un anno in cui l’Italia, tutto sommato, un poco ce l’ha fatta, e tutti – volenti o nolenti – abbiamo partecipato ai sacrifici. La politica autoreferenziale, un poco, è stata rottamata … e sbugiardata. E se Monti “sale”, vuol dire che qualcuno che aveva già pensato di non andare più a votare magari ci ripensa e si rimette in discussione: riflette davanti a quattro, cinque generose alternative. Qualcuno ha detto che la sua salita non sarebbe democratica, ma forse era il pensiero di chi vedeva una campagna elettorale in discesa, quasi di regime, che ha il solo svantaggio di non far riflettere la gente, se non davanti al solito talk show televisivo. E allora – tra i desiderata dell’ultimo dell’anno – ci metto anche un 2013 dove non ci si deve più turare il naso quando si va a votare, ma nemmeno ci si deve vergognare davanti ai propri figli… per il comportamento sciocco di chi aveva destato speranze di un’Italia migliore. Ma questo desiderata, immagino, è stato di mio nonno prima, che ha subìto le due guerre, poi di mio padre, che ha visto la cristallizzazione della politica e infine mio, che della politica mi tocca assistere allo sfascio, condito di ammucchiate con tanto di bastone fra le ruote di un personalismo stanco, che non mette mai a tema il futuro di un paese. Un futuro, sia chiaro, la cui consistenza non è nell’Imu si o nell’Imu no: bisognerebbe volare un po’ più alti. Salire appunto, anziché scendere… a compromessi strani.



Son questi i pensieri di un fine anno, mentre si attende di stappare la bottiglia di spumante con malcelata allegria. Però al Te Deum laudamus io vorrei portare anche la scoperta dei miei ragazzi, che sono contemporanei di questa crisi e cercano di non fartela pesare. Altro che bamboccioni! Sono fantastici questi ventenni, perché hanno negli occhi una speranza tutt’altro che stupida e sognante: e loro, con noi, risolleveranno la fiducia, al netto delle ideologie che hanno fatto il loro tempo, quando addirittura non risultano ridicole. Quest’anno, ai miei amici, prima del te Deum, leggerò un brano di Sant’Ambrogio, che mi ha mandato un’amica, Ester, e che mi ha sorpreso per la sua attualità, benché sia stato scritto nel IV secolo.



Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri. 

Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna.

Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro; siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani con slancio anche quando sembrerà che si dimentichino di voi.

Non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande, non siate voi la zavorra che impedisce di volare.

Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che decidere bisogna, e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è insopportabile una vita vissuta per niente.



Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e la stima che voi avete di loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio delle passioni, il gusto per le cose belle e l’arte, la forza anche di sorridere.

E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato: e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato.

I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia in Dio e il gusto di vivere bene“.

Queste parole sono l’augurio che faccio a ciascuno, insieme con la frase che ho scelto per i miei auguri di Natale, e che sta nel mese di dicembre del libro Adesso 2013. E’ di Santa Caterina da Siena, patrona dell’Italia, appunto: “Se sarete ciò che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo. Non accontentatevi delle piccole cose (foss’anche l’abolizione dell’Imu. ndr), Egli, Iddio, le vuole grandi”.

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