La notizia potrebbe rientrare fra i fatti curiosi: la Spagna ha deciso di concedere la cittadinanza a tutti gli ebrei discendenti da coloro che furono espulsi da Isabella e Ferdinando di Spagna nel 1492. In realtà un provvedimento per facilitare la cittadinanza dei discendenti degli espulsi già c’era dal 1968, ma ora tutto sembra davvero molto facile. C’è chi ha calcolato che la nuova legge possa riguardare fra i 250mila e i tre milioni di ebrei nel mondo; in effetti nel mezzo millennio trascorso dall’espulsione si succedute almeno venti generazioni, abbastanza perché quasi tutti gli ebrei del mondo, obbligati per ragioni religiose a sposarsi con correligionari, abbiano degli antenati fra gli espulsi, a partire dal presidente israeliano Peres, il cui cognome è assai diffuso fra i sefarditi (così si chiamano in ambiente ebraico i discendenti dalla Spagna). In Italia tutti gli ebrei di Livorno, molti di Venezia e del Piemonte, alcuni anche di Roma hanno questa provenienza.



E’ improbabile però che si assista a una massiccia immigrazione ebraica in Spagna, dove gli ebrei oggi non sono più di 40mila, e questo certamente fa parte delle premesse tacite della nuova legge, che dunque ha un carattere soprattutto di principio, una sorta di pubblica scusa per l’espulsione. Altra cosa sarebbe estendere il provvedimento ai moros cacciati sempre da Isabella e Alfonso in quegli anni, che rischierebbe per davvero di innescare un’immigrazione di massa e una nuova islamizzazione della Spagna.



In effetti la “Cacciata”, com’è ricordata nel mondo ebraico, fu un trauma terribile, del tutto paragonabile a quello della Shoah. Non perché fosse la prima espulsione, anzi: anche senza contare le persecuzioni che avevano provocato fughe di massa da molte località, c’erano stati prima provvedimenti formali di espulsione da Magonza (1012), dalla Francia (1082) dalla Baviera (1276), dall’Inghilterra (1290), dalla Svizzera (1348), dall’Ungheria (1349) dall’Austria (1421)… una storia di espulsioni che è continuata quasi ininterrottamente fino a tempi recentissimi (nei paesi islamici).



Il fatto è che l’insediamento ebraico in Spagna era antichissimo, risalendo fino alla colonizzazione fenicia e che la popolazione ebraica era numerosa (intorno al 5 per cento della popolazione), colta e in buone condizioni economiche. 

Con le successive espulsioni dal Portogallo e dall’Italia meridionale, che facevano parte dei domini del regno, più di mezzo milione di persone fu obbligato a perdere tutto e a cercare un rifugio altrove o a rinunciare alla propria identità culturale e religiosa. Vi furono molte decine di migliaia di morti, il seguito delle persecuzioni dell’Inquisizione contro coloro che erano sospettati di voler tornare alla fede dei padri, un esodo massiccio di popolazione che continuò per un secolo e mezzo in direzione di luoghi più tolleranti come i Paesi Bassi, parte dell’Italia e in particolare Livorno e Venezia, l’Impero turco. Spagna, Portogallo, Sicilia e Calabria furono impoveriti dalla scomparsa di settori attivi ed economicamente importanti.

In linea di principio dunque la condanna di un provvedimento così umanamente e socialmente disastroso è giusto e opportuno. Ci si può chiedere però quanto sia realistica una riparazione dopo mezzo millennio, quando molti Stati ignorano le loro colpe molto più dirette per quello che è accaduto nel secolo scorso: per fare solo qualche esempio la Lituania che minimizza la propria partecipazione alla Shoah, la Turchia che ancora nega il genocidio armeno, i Paesi arabi che insistono per tutelare i rifugiati palestinesi (di cui sono corresponsabili, non avendo minimamente cercato di integrarli in sessant’anni) e non riconoscono l’espulsione dei loro cittadini ebrei né si sognano di accordare ai loro discendenti diritti di cittadinanza. Ma bisogna accogliere con rispetto questa notizia: perché una politica che si misura coi tempi della storia può non essere realistica, ma certamente testimonia di un senso dell’etica e dell’identità che non è comune, né fra gli stati né fra le persone.