La gente, in Italia, si sposa sempre di meno. I dati dell’Istat non lasciano adito a dubbi: nel 2011 sono stati celebrati 204.830 matrimoni,  12.870 in meno rispetto al 2010. Cala la propensione a sancire i propri vincoli affettivi con i crismi dell’ufficialità, ma aumenta quella a instaurarne di precari: in tre anni, infatti, le convivenze more uxorio sono passate da circa mezzo milione a 972mila. Abbiamo chiesto ad Alberto Gambino, professore ordinario di Diritto privato e Diritto civile presso l’Università Europea di Roma come interpretare questi numeri.



Quali sono il significato  e le motivazioni di questo dato?Intanto occorre valutare questi dati non in assoluto ma in relazione al  numero delle coppie fertili e dell’invecchiamento della popolazione.  Infatti, registrandosi un sempre più ampio e generale calo delle  nascite, nell’ultimo anno addirittura di 15 mila unità, è evidente che  anche le coppie in età fertile potenzialmente idonee a sposarsi sono progressivamente diminuite. Che poi il numero dei matrimoni sia in calo,  ritengo vada legato a più fattori, da quello economico a quello sociale  e ad una generale deresponsabilizzazione nel rapporto di coppia.  Tuttavia non si deve perdere di vista che il dato quantitativo talvolta  è inversamente proporzionale al dato qualitativo: pur tra mille  difficoltà, le famiglie che oggi funzionano sono straordinariamente  solide come mai prima. E’ una circostanza che in pochi tengono presente  perché c’è un latente intento ideologico a destrutturare l’istituto  familiare.
Le nozze sono sempre più tardive. L’età media al primo matrimonio degli uomini è pari a 34 anni e quella delle donne a 31 anni. Ritiene che la causa sia innanzitutto di tipo economico o culturale?
Sono diminuiti i lavori manuali ed è aumentato il grado di istruzione  complessivo della popolazione e gli studi si allungano, dunque si accede  al mondo del lavoro più tardi. Poi la crisi economica fa la sua parte  perché spesso il lavoro non arriva e la famiglia, ormai mononucleare,  non possiede più quegli anticorpi – veri e propri ammortizzatori sociali
 – che prima consentivano ai genitori di farsi carico dell’avviamento  della famiglia dei figli. Quanto al tema culturale, certamente le  convivenze di fatto aumentano perché si vuole allontanare il momento dell’assunzione della responsabilità coniugale; tuttavia non si può trascurare il fatto che una buona parte delle convivenze, specie quando  nascono figli, poi si trasformano in matrimoni.
Nel 2011 sono state celebrate 124.443 nozze di rito religioso, 39 mila in meno rispetto al 2008. La quota delle unioni civili aumenta invece dal 18,8% del 2008 al 24% del 2011. E’ il segno di una crescente  secolarizzazione della società italiana?



Sono un po’ perentorio: meglio meno matrimoni religiosi davvero sentiti  nella fede, che tanti matrimoni religiosi retaggio di abitudini e cliché che poi tradiscono il loro significato di sacramento.
In due casi su tre il matrimonio avviene in regime di separazione dei beni. E’ un sintomo della fragilità delle coppie  sposate?

In parte sì. Ma il dato vero è che un matrimonio su tre sia in regime di comunione dei beni, con un’apertura e una scelta di vita che vuole essere davvero definitiva.
I matrimoni misti, cioè quelli in cui un coniuge è italiano e  l’altro straniero, nel 2011 sono stati 8mila in meno rispetto al 2007. E’ il segno del fatto che l’integrazione multiculturale in Italia sta  vivendo una fase di difficoltà?O anche del fatto che alcuni “stranieri” ormai sono italiani.
Il progetto di legge sul divorzio breve è fermo da mesi alla Camera. Se il testo fosse approvato, quali sarebbero le conseguenze per  le coppie e per i figli?
Direi negative. Intanto perché il matrimonio diverrebbe sempre più  simile ad un contratto, con possibilità di risoluzione pressoché  automatica. Inoltre perché un istituto millenario come il matrimonio su cui si sono fondate tutte le grandi civiltà e le moderne democrazie  rappresenta un impegno importante dei consociati davanti alla comunità e il suo eventuale scioglimento va ponderato anche con il decorso di un  tempo ragionevole. Quanto ai tempi e alle spese giudiziarie – spesso  indicati come le ragioni per un divorzio breve – ci sono altri strumenti  che possono aiutare le coppie in crisi, come la mediazione e, rispetto  ai figli, l’affido condiviso e congiunto.
Che cosa ne pensa del fatto che il Parlamento preferisca rimandare la discussione anziché affrontarne i nodi cruciali?
Per come sta affrontando il tema – un mero accorciamento dei tempi della separazione, senza porsi il problema di un vero sostegno alle  famiglie come accade in  Francia – penso che è meglio così.

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