Un “disegno di benevolenza” su di noi. Quante volte in una giornata avvertiamo la tentazione di maledire l’istante in cui siamo venuti al mondo, il momento che viviamo, le circostanze che non si incastrano con i desideri del cuore? Benedetto XVI deve aver percepito nell’umanità che lo circonda l’insoddisfazione cronica per un’esistenza piena di semafori rossi, di inciampi esistenziali, di singhiozzi di senso se oggi, nell’udienza generale, ha sentito il bisogno di ricordare quel progetto di amore e misericordia che è trama della Storia.



Il punto di partenza della sua catechesi era la benedizione dell’apostolo Paolo su Dio, parole colme di stupore e ringraziamento. In pratica niente di più lontano dalla nostra abitudine a subire ciò che accade: il moltiplicarsi d’incidenti e realtà. Il Papa, invece, svela la positività del cristianesimo, ricorda che tutto è frutto di una Ragione onnipotente ed eterna, che non ci ha permesso solo di esistere, di essere inseriti in un luogo e in un tempo, di godere del nostro status di “creature”, ma anche di essere voluti.



A un’umanità in apnea, quasi sempre deficitaria in amore o autostima, ha detto la cosa più gratificante del mondo: sei stato scelto, sei stato voluto, sei stato amato. Da sempre. Il “disegno di benevolenza” di cui parla Ratzinger con Paolo è l’iniziativa divina che precede ogni risposta umana. Un dono gratuito, una specie di biglietto della lotteria vincente e neanche acquistato. Qualcosa che non perde il suo carattere misterioso e che pure riconduce al centro e alla verità di tutte le cose.

Infatti, spiega Benedetto XVI, questo “disegno di benevolenza” non è rimasto nel silenzio di Dio, nelle altezze del Cielo, ma è stato comunicato. Anzi si è auto-comunicato. Dio è entrato in relazione con l’uomo, ha rivelato se stesso, si è incarnato, è diventato amico in Cristo, suo figlio. Bellissima la citazione di san Giovanni Crisostomo, sull’inizio della lettera agli Efesini: “Che cosa ti manca?”- commentava con magnifica retorica bizantina il dottore della Chiesa – “Sei divenuto immortale, sei divenuto libero, sei divenuto figlio, sei divenuto giusto, sei divenuto fratello, sei divenuto coerede, con Cristo regni, con Cristo sei glorificato. Tutto ci è stato donato. La tua primizia è adorata dagli angeli […]: che cosa ti manca”.



Già, che cosa ci manca? È la domanda che Benedetto XVI ha fatto rimbalzare oggi, rilanciandola con il consueto pudore, nell’aula Nervi. C’è nella Chiesa questa consapevolezza? Perché è sempre evidente l’affanno, il presunto ritardo sulle accelerazioni della modernità, la rincorsa a una felicità possibile, mentre manca l’orgogliosa rivendicazione di una figliolanza divina, la serenità che viene dalla comunione con Cristo? L’uomo di oggi e persino la Chiesa a volte si sottraggono all’unico atto pienamente umano, la risposta alla Rivelazione di Dio.

Suggerisce il Papa, con accenti agostiniani, bisogna “lasciarsi afferrare dalla Verità che è di Dio, una Verità che è amore”. In questo consiste “l’obbedienza della fede”. Non prima e non solo su precetti, dogmi e verità teologiche, ma nella disponibilità alla conversione, vale a dire a un “cambiamento di mentalità” per cui “il Dio che ci è rivelato in Cristo e ha fatto conoscere il suo disegno di amore, ci afferra, ci attira a Sé, diventa il senso che sostiene la vita, la roccia su cui essa può trovare stabilità”.

Possono sembrare discorsi dotti, citazioni altisonanti, ma basta guardare alla Chiesa degli ultimi anni e al suo pastore per capire che è l’unica strategia possibile per navigare sicuri: come avrebbe potuto attraversare la stagione degli scandali e dei corvi, il successore di Pietro, se non avesse accolto nella sua vita la visione di Cristo sulla realtà? Benedetto XVI “comprende secondo Dio” le imperfezioni del mondo, le ama, le accoglie e rimane saldo. La lezione migliore, condensabile persino nei famosissimi 140 caratteri dei nuovi tweets apostolici: “Il disegno di benevolenza di Dio ci avvolge. Lasciamoci prendere”.

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