«L’amore è sempre l’amore, non si discute, ma la differenza è che l’uomo contemporaneo, quando ne parla descrive un sentimento, mentre per Dante l’amore non era solo questo, ma innanzitutto una forza, che infatti “move il sole e l’altre stelle” (Paradiso XXXIII, 145 ndr). Noi crediamo che la forza si trovi proprio nei sentimenti, mentre per Dante l’amore è una forza che coincide con il nocciolo del reale, ed è questa la differenza principale». In occasione della festa degli innamorati, IlSussidiario.net ha contattato il poeta e scrittore Davide Rondoni, che in questa intervista spiega la trasformazione del termine “amore” da Dante fino ai nostri giorni. «Come si vede anche dalla propaganda, San Valentino è un’esaltazione del sentimento che inevitabilmente porta al sentimentalismo, mentre per Dante l’esaltazione dell’amore che “move il sole e l’altre stelle” diventa il viaggio di una vita, la “benzina dell’esistenza”. La differenza principale è proprio questa: l’amore a San Valentino è qualcosa che si sente, l’amore in Dante è un qualcosa che si ha».



Per molte persone il 14 febbraio è un giorno dedicato esclusivamente al consumismo, che non va oltre a qualche mazzo di fiori e una scatola di cioccolatini. A suo giudizio questa festa conserva ancora qualcosa che riesce a superare questa coltre di superficialità?

San Valentino è una festa inventata dagli americani certamente per motivi commerciali, ma non solo. Gli americani non sono solamente dei semplici mercanti, ma hanno capito che l’uomo ha bisogno di festeggiare le cose fondamentali della vita, e l’amore è sicuramente una di queste. Per cui, prima di arrabbiarsi con gli americani per aver inventato questa ricorrenza, bisogna capire come mai proprio noi non ci abbiamo pensato prima.



La avremmo dovuta inventare noi?

Le parlo da Bologna, dove è nato Guinizzelli, colui che ha inventato il Dolce Stil Novo. Siamo stati proprio noi italiani ad inventare la poesia e la letteratura d’amore, compreso anche Dante, e quindi sì, credo che avremmo dovuto inventare noi la festa dell’Amore, non gli americani. L’errore macroscopico di questa ricorrenza non è la sua stessa esistenza, ma il suo contenuto sentimentalista e commerciale. Forse sta proprio a noi, visto il nostro bagaglio culturale, dare una nuova impronta a questa festa.

Che cos’è oggi per noi l’amore?

Sull’amore è in corso un dibattito fortissimo e spesso le più grandi discussioni sono proprio su questo tema. L’uomo contemporaneo è infatti spesso assillato da questo argomento, cioè da cosa significa veramente amare. Il significato di questa parola è sicuramente cambiato nel tempo, e in molti hanno ridotto l’amore a un sentimento che si prova, invece che a una forza che esiste ed opera. Per gli antichi Amore era addirittura un Dio, quindi non una cosa che si provava, ma una presenza che si imponeva.



Ci aiuti a capire.

E’ come se l’uomo contemporaneo riduca l’amore a una variante della nevrosi, mentre per gli antichi l’amore è certamente una forza che può far impazzire un uomo, ma in modo certamente diverso. Un’altra cosa da sottolineare è che il moralismo borghese, non quello cristiano, con le sue paure e censure ha molto spesso ridotto l’amore a qualcosa di grottesco, tra erotismo continuo e censura. Questo è il tipico prodotto  di matrice non certo cattolica ma borghese; e non a caso Dante, per fare un esempio, pone Paolo e Francesca, cioè le due vittime della passione amorosa, non nel profondo dell’Inferno ma fuori dalla città di Dite, perché considera questo peccato meno grave di tanti altri.

Quanto è lontano l’Amore descritto da Dante da quello attuale?

L’amore di Dante è molto più moderno di quello che si può immaginare, e se un uomo riflette sulla propria esperienza d’amore potrà capire che anche solo ammettendo di essere “innamorato” dà per scontato che sta entrando in un qualcosa, una forza che non è lui a produrre, ma che già c’è. Quindi, rispetto all’attuale riduzione sentimentalistica di cui parlavo, aveva ragione Dante quando diceva che l’amore non è una forza che nasce da noi e che sentiamo, ma che ci prende, ci attraversa e ci porta anche dove non vorremmo.

 

(Claudio Perlini)