«Questo attacco sventato dimostra ancora una volta che la difesa proattiva funziona e che questa, insieme al sistema di difesa passiva previsto dalle Best Management Practices e al personale armato presente a bordo, costituisce l’unica risorsa realmente efficace nei confronti degli attacchi di questi criminali». Carlo Biffani, direttore generale di Security Consulting Group, commenta in questa intervista per IlSussidiario.net l’attacco pirata sventato alle 12.30 (ora italiana) del 15 febbraio da parte dei fucilieri del Battaglione San Marco, imbarcati come Nucleo di protezione militare sul mercantile “Enrica Lexie”.
Questo è già il secondo attacco nei confronti di una imbarcazione italiana. Secondo lei le offensive dei pirati sono in aumento?
Non credo che gli attacchi siano aumentati, anzi, statisticamente sono anche leggermente diminuiti rispetto a un paio di anni fa, ma questo dipende da una serie di fattori.
Per esempio?
Innanzitutto questi attacchi sono suscettibili in termini di variazioni stagionali, quindi per esempio in alcuni momenti dell’anno, con il monsone pienamente attivo, diventa certamente più complicato muoversi anche per gli stessi pirati. E anche se ormai questi sono organizzati per affrontare qualsiasi condizione, è certamente aumentata la capacità di reagire da parte delle “vittime”, quindi sono notevolmente diminuiti gli attacchi che vanno a segno.
Quali sono le zone in cui maggiormente avvengono questi attacchi?
Una delle direttrici più frequentate, una sorta di “autostrada” del mare, è quella che collega la costa est dell’Africa, quindi il corno, con quella ovest dell’India e lo Sri Lanka. E’ il tratto che più o meno va da Gibuti a Galle, che è battuto da una grandissima quantità di navi mercantili che attraversano il canale di Suez. In questa zona gli attacchi sono molto frequenti.
Chi sono questi “pirati” e come lo diventano?
Sono principalmente ex pescatori o pastori somali che, in alternativa alla possibilità di guadagnare cento dollari l’anno, scelgono di guadagnarne cento al giorno, con la possibilità di ottenere molto di più se un attacco dovesse andare a buon fine, visto che i riscatti sono spesso pagati profumatamente. Nel momento dell’attacco, poi, questi pirati si danno la carica masticando il qat, una droga in foglie che produce un effetto iperstimolante. Così stimolante che spesso i pirati hanno attaccato delle navi militari senza rendersene neanche conto.
Quindi i fucilieri del battaglione San Marco si sono dimostrati particolarmente attenti e preparati?
I ragazzi del San Marco sono certamente molto preparati, ma il fatto che respingano un attacco non deve sembrare qualcosa di straordinario.
Come mai?
Innanzitutto perché sono estremamente armati: imbarcazioni come quella attaccata ieri trasporta 800 chilogrammi di materiale, tra armi di squadra, fucili di precisione, carabine semiautomatiche e così via. Qui si apre però un altro problema.
Quale?
Attualmente, secondo la legge 130, un armatore che ha bisogno di un servizio di protezione a bordo della nave, deve prima di tutto rivolgersi alla Marina Militare. Solo nel caso in cui questa sia impegnata, non abbia personale a sufficienza o se non si adatti al servizio richiesto, l’armatore può allora rivolgersi al privato. Tutti sappiamo che nelle normali dinamiche commerciali non funziona in questo modo, quindi considero la situazione attuale decisamente assurda. La Costituzione e le leggi commerciali sanciscono un principio, secondo il quale nessuno può avere diritto di prelazione rispetto all’erogazione di un servizio commerciale. La legge 130 prevede invece il diritto di prelazione da parte della Marina.
Una specie di monopolio…
Esatto, e la legge di cui le parlo è stata proprio creata per agevolare il monopolio della Marina. Questo non è assolutamente possibile, ma fortunatamente qualcuno è già al lavoro per tentare di risolvere queste problematiche che riguardano certamente temi importanti.
Lei in che modo si sta muovendo?
Abbiamo costituito un’associazione insieme ad alcuni dei maggiori istituti di vigilanza italiani e ad altre società che svolgono lo stesso lavoro per cercare di fare in modo che una volta emanato il regolamento attuativo della legge 130 si arrivi ad una definizione chiara di quelli che sono gli ambiti nei quali il servizio privato deve essere erogato. Tutto questo con il chiaro obiettivo di convincere chi deve scrivere il regolamento attuativo della legge 130 a non mettere nero su bianco norme che rendano inapplicabile e impraticabile il servizio privato.
Quali per esempio?
Il privato che deve fare servizio in quelle aree deve noleggiare le armi, che sono sempre e solo da guerra. Se con il regolamento dovessero vietare questo tipo di armi a bordo, il servizio privato sarebbe praticamente annullato perché il tempo necessario a costituire un’armeria propria in quei paesi corrisponde a circa 24-36 mesi, più tutta una serie di iter burocratici che non assicurano neanche una riuscita finale. Gli armatori hanno invece un’esigenza immediata del servizio, anche privato, perché la Marina Militare spesso non riesce a fornire la quantità di personale necessario o la fruibilità dello stesso secondo le modalità richieste dagli armatori.
(Claudio Perlini)