Di tanto in tanto, certi furori da mangiapreti si destano dai loro torpori, per aizzarsi contro gli abituali bersagli. Il pagamento dell’Ici alla Chiesa è uno di quelli che, ciclicamente, torna a fare tendenza, per poi evaporare dalla memoria collettiva senza lasciare traccia. Questa volta, è diverso. C’è Monti che, senza alcun clamore e con tanta sobrietà, ha deciso di fargliela pagare, alla Chiesa (l’Ici). Il meccanismo logico ideato ha una struttura inattaccabile. Uno schema collaudato. L’Europa chiede, Monti risponde. Nella fattispecie, è in corso una procedura d’infrazione per una serie di sgravi fiscali concessi dallo Stato al Vaticano durante il periodo 2007-2011 e ammontanti a circa un miliardo di euro. Dall’apertura del contenzioso, il caso è stato archiviato due volte, per poi essere riaperto nel 2010 in seguito alle denunce presentate dal deputato radicale Maurizio Turco alla Corte di Giustizia. Il reato ipotizzato è quello di aiuti di Stato illegali; tesi sposata (perché, semplicemente, non sembra farne mistero) dal vice presidente della Commissione Ue, Joaquin Almunia che incalza Monti nel dare risposta. Il nostro premier, dal canto suo, ha comunicato ad Almunia che sta mettendo a punto un emendamento per dargli soddisfazione. Specificando che «l’esenzione per la Chiesa fa riferimento solo agli immobili nei quali si svolge in modo esclusivo un’attività non commerciale». Ora, posto che la Chiesa paga già l’Ici per le sue attività prevalentemente commerciali e che, come abbiamo sottolineato tante volte, il suo apporto al bene collettivo è – anche monetariamente – superiore di gran lunga agli sgravi che riceve, qualcosa non quadra. Ugo Sposetti, firmatario, assieme ad altri deputati, di una dichiarazione in cui si invita a fare attenzione a non danneggiare chi fa del bene revisionando l’Ici (Imu), ci spiega la cosa.
Qual è il significato della vostra dichiarazione?
Personalmente, si tratta di una convinzione maturata nel corso della mia esperienza passata al ministero delle Finanze, quando cercammo di capire cosa fare delle ex Ipab (istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) e come affrontare il problema della tassazione sulle loro proprietà e sulle loro attività commerciali.
Ebbene, quale convinzione?
Quando un’ex Ipab, piuttosto che un’associazione di volontariato o la Chiesa utilizza le risorse derivanti da attività commerciali per fini istituzionali (occorre, ovviamente, che vi sia una corretta applicazione dei fini istituzionali sanciti dagli statuti), quelle attività non devono essere oggetto di tassazione. Un’opera di solidarietà, infatti, è giusto che venga agevolata.
A quali attività commerciali si riferisce?
Poniamo che chi gestisce un’ex Ipab abbia ricevuto in donazione un terreno che affitta ad un agricoltore, o un immobile che affitta ad una famiglia; gli introiti di tali affitti, se usati per fini istituzionali, non vedo perché debbano essere tassati.
Perché non dovrebbero?
Basti considerare quanti italiani destinano il 5Xmille ad associazioni di volontariato, fondazioni e via dicendo. Vuol dire che il nostro Paese è particolarmente incline alla solidarietà. Perché quindi, far venire meno la spinta che caratterizza la maggior parte degli italiani, invece che sollecitarla?
Oltretutto, benché il beneficio monetario non sia mai stato quantificato, viene per lo più rilevato il fatto che lo Stato trae vantaggio dal tali iniziative.
Il loro valore etico e politico, in senso nobile, è elevatissimo; senza contare che tali iniziative vengono sgravate dalla spalle dello Stato. Che, se dovesse accollarsele, lo farebbe con costi molto più alti. L’utilità sociale che ne scaturisce, d’altronde, è oltremodo superiore alla quantificazione economica che, in ogni caso, sarebbe estremamente alta.
Monti chiede di tassare quelle attività che svolgono prevalentemente attività commerciale. Eppure, è quanto l’attuale normativa già prevede.
Spesso i fini istituzionali non vengono correttamente applicati. Si tratta di dinamiche che si originano in Italia come nel resto del mondo, da almeno una trentina di secoli. Se un ente svolge attività commerciali ma non svolge iniziative benefiche, allora è giusto che vada tassato.
Crede che, al di là dei controlli per individuare le cosiddette “zone grigie”, serva realmente cambiare la legge?
Questo lo decideranno il governo e il Parlamento. Io le posso dire che sono stato sindaco di un piccolo comune e che quando ho fatto approvare dal consiglio comunale il regolamento per disciplinare il pagamento dell’Ici, ho esonerato alcune fasce di contribuenti e l’istituto autonomo per le case popolari. Tale istituto dava in affitto degli immobili e, quindi, svolgeva un’attività commerciale. Ma si trattava di un canone politico, a fini sociali.
Perché, secondo lei, l’Europa imputa all’Italia un miliardo di euro di finanziamenti illeciti al Vaticano, di cui l’Italia deve rendere conto?
E’ una battaglia che, personalmente non condivido. Cos’abbia spinto i funzionari europei ad una scelta del genere, tuttavia, lo ignoro. In ogni caso, è stato fatto ricorso. Vedremo cosa succede. Del resto, Monti ha annunciato che la normativa si modifica e, una volta modificata, l’Europa ne terrà senz’altro conto.
Trova che, in ogni caso, tale proposta rifletta una sorta di accanimento ideologico?
Sa, in Italia gli accanimenti di questo genere durano ben poco. Anche contro di me si sono accaniti per degli anni, quindi non vedo motivi di preoccupazione. Se ci sono, sono temporanei. Passeranno…
Quindi, cosa spinge a chiedere un emendamento del genere?
Vuole sfoltire, probabilmene, gli elementi di contenzioso con Bruxelles. Ne abbiamo già abbastanza.
(Paolo Nessi)