Divorzio breve più vicino dopo che la commissione Giustizia di Montecitorio ha concluso la discussione degli emendamenti al progetto di legge. Con la riforma, si scenderà da tre anni di separazione a uno solo prima di poter chiedere il divorzio. Un periodo di tempo che sarà invece di due anni nel caso in cui la coppia abbia dei figli minorenni. Il presidente della commissione Giustizia, Giulia Bongiorno, ha definito quello sul divorzio breve “un piccolo successo della commissione”. Il deputato ha aggiunto: “Lo ritengo un provvedimento di civiltà giuridica e mi è piaciuto vedere i gruppi che, anche se con diverse posizioni, concordavano sulla necessità di ridurre i tempi. L’auspicio è che ora si vada in Aula”. Ilsussidiario.net ha intervistato sull’argomento l’avvocato Marisa Meroni, dello studio Sciumé Zaccheo e Associati, per avere un commento sulla vicenda.
Come valuta la scelta di ridurre il periodo di separazione prima del divorzio da tre anni a uno?
Negativamente, perché l’esperienza mi insegna che in questo lasso di tempo i coniugi separati nel 50-60 per cento dei casi trovano un nuovo modus vivendi e quindi riducono di gran lunga il conflitto tra loro. Arrivando così al divorzio con minore conflittualità e rendendo possibile un divorzio di comune accordo con delle regole funzionanti.
Il motivo per cui è stato previsto questo periodo di tre anni non è quindi quello di evitare il divorzio, ma di fare in modo che avvenga in modo meno conflittuale?
Sì. L’esperienza giuridica italiana nasce con un matrimonio indissolubile e l’introduzione del divorzio forza la tradizione cattolica. Questo cuscinetto di tre anni, che inizialmente era ancora più lungo, crea una netta distinzione tra le due condizioni, cioè la separazione e il divorzio. Non tutte le separazioni che ho seguito sono arrivate al divorzio, molti coniugi restano separati anche perché ci sono dei vantaggi a non divorziare. Per esempio il coniuge separato eredita, quello divorziato no. Il tema del divorzio si introduce tra i coniugi principalmente quando c’è un interesse a contrarre un nuovo matrimonio.
Per Giulia Bongiorno il divorzio breve è “un provvedimento di civiltà giuridica”. E’ veramente così?
No. Bisogna vedere se la civiltà giudica coincida o meno con il matrimonio indissolubile come concezione. E su questo chiunque ragiona, quando contrae il matrimonio anche se solo in sede civile, non lo fa mai con una prospettiva a tempo determinato. La civiltà giudica è quindi un matrimonio che dura almeno in prospettiva per sempre, e nel nostro ordinamento all’origine dell’istituto del matrimonio c’è ancora questa concezione. Tanto che i coniugi separati ereditano, hanno un obbligo di mantenimento che non viene meno neppure con il divorzio, fatta eccezione per i casi di addebito della responsabilità. Ci sono quindi delle conseguenze forti che restano sempre, e non c’è divorzio breve che tenga. Il divorzio breve cerca quindi di distruggere più rapidamente delle conseguenze che nella nostra concezione non sono eliminabili con un semplice tratto di penna.
Ma in fondo è veramente necessario frapporre dei limiti legislativi alla libera volontà dei coniugi?
Innanzitutto, bisognerebbe presupporre che la volontà sia quella di entrambi i coniugi. Perché se uno intende divorziare e l’altro no, c’è già un nodo che va sciolto. Inoltre il matrimonio per il nostro ordinamento ha certe caratteristiche che hanno una valenza e una tutela superiore a quelle dei privati che lo pongono in essere. La famiglia ha un riconoscimento superiore a quello dei due coniugi presi singolarmente.
Di fatto quali sono gli effetti pratici di questo periodo di tre anni tra la separazione e il divorzio?
L’unico vincolo nei tre anni che hanno coloro che sono separati ma non divorziati è un limite alle nuove nozze. Ritengo che sia un fatto di civiltà giuridica che un coniuge non possa contrarre un nuovo matrimonio dalla sera alla mattina, come avviene in certi film americani. Non capisco del resto quale sia il segnale di civiltà giuridica in tutto ciò. Prima di contrarre un nuovo matrimonio, una persona ha bisogno di una pausa di riflessione.
Quello degli avvocati divorzisti è anche un business?
Certo che è anche un business e dipende dalla consapevolezza, responsabilità e professionalità di ciascun avvocato il fatto di trasformare o meno questa attività in un business. Per un legale del resto in queste circostanze è fin troppo evidente l’interesse dei suoi clienti a trovare una soluzione di comune accordo, evitando il più possibile un contenzioso sia nella fase della separazione sia in quella del divorzio. Come pure a non considerare quello economico come l’unico tema, impedendo che i due coniugi si trasformino in controparti contrattuali. Non ce n’è mai una che vince e una che perde, hanno perso tutte e due comunque vada a finire la causa. Questo lavoro quindi per un avvocato è una sfida. Non spetta a me dire quanti colleghi abbiano chiara questa posizione, ma è chiaro che dipende molto dall’avvocato il fatto che si possa arrivare o meno a una separazione o a un divorzio consensuali.
I maggiori conflitti avvengono sull’assegnazione dei figli. Quali possono essere le conseguenze del divorzio breve su questo aspetto?
Da quando esiste il cosiddetto “affido condiviso”, il tema dell’assegnazione non è vissuto più come un tempo perché i figli di regola sono assegnati a entrambi i coniugi e collocati presso il coniuge con il quale hanno un’abitudine prevalente di vita, che nel 75-80 per cento dei casi è comunque la madre. Quando quello dei figli diventa il maggior tema di conflitto, è sempre una sorta di pretesto. Il vero conflitto è a monte, perché se i due genitori hanno un reale interesse per i figli, tanto da volere riservare loro il massimo delle attenzioni, questo li porterà alla consapevolezza che il loro conflitto è per essi il massimo di negatività.
(Pietro Vernizzi)