Quando è stato annunciato l’avvio della pratica di beatificazione di Don Luigi Giussani, vedendo che tra le commissioni incaricate c’è quella che deve valutarne i miracoli, mi sono chiesto quali potrebbero essere o essere stati. Al di là di quello che non so, avendolo frequentato molto da vicino per molto tempo, credo che il suo miracolo più grande sia stato quello di aver saputo far appassionare al mistero della fede centinaia di migliaia di persone, provocando in loro un indelebile cambiamento del cuore.
C’è uno spezzone video che gira su Youtube , intitolato “Come è nato il cristianesimo” che offre una prima importante chiave per capire chi era quell’energico prete ben presto soprannominato “Il Gius”. Lottando contro gli incipienti sintomi del parkinson, in quella mirabile esegesi del Vangelo ben diversa da una lezione, egli sceglie le parole una a una, si intenerisce nel descrivere i villici con gli occhi sgranati di fronte all’impatto con cose e case mai viste, si immedesima nel racconto al punto di interpretare per noi gli atteggiamenti, i pensieri e lo stupore che hanno convinto i primi discepoli a mollare tutto, famiglia, lavoro, figli, per seguire all’istante quello che avevano capito per istinto non essere uno dei tanti profeti, ma “il” profeta. Si capisce che l’attentissima selezione delle parole non è frutto di una tecnica teatrale o di una scuola di retorica, ma di una genuina passione animata dal desidero di comunicare una esperienza dopo averci lavorato su per molto tempo, alimentandosi a sua volta con testi di teologi, scrittori, poeti. In questo video si capisce chiaramente la sua passione per la poesia capace di evocare sentimenti ed emozioni. La sua narrazione è sostanzialmente la condivisione di ragioni, esperienze e motivazioni che furono capaci di far cambiare a quei pescatori la loro vita in un istante. Quello che mi ha sempre colpito è il fatto che don Giussani era così anche nelle situazioni più spicciole della vita di ogni giorno.
Credo che il suo atteggiamento di condivisione fosse figlio della convinzione che l’amore di Dio si deve estrinsecare sempre nella meraviglia per il creato da un lato, e dall’altro nell’urgenza di condividere genuinamente gioie e dolori di chi sta davanti. Di fronte ad un mendicante si svuotava immediatamente il poco fornito portafoglio, a volte si faticava a non fargli regalare il suo giaccone ad un barbone infreddolito. Anche nelle piccole cose quotidiane era sempre concentrato, aveva un gran rispetto per ogni persona che gli stava intorno, aveva rispetto del tempo suo e degli altri.
Odiava far aspettare la gente: quando andavo a prenderlo a volte alle 5 del mattino fendendo la nebbia di Gudo Gambaredo, per cominciare un viaggio per Roma di almeno 6-7 ore, era già in piedi da un po’, aveva già letto il breviario, era pronto a salire allegro in auto sapendo che gli avrei fatto ascoltare molta musica senza mai interrompere i suoi pensieri e le sue riflessioni. Per un po’ partecipava alla guida impartendo perentorie indicazioni di abbreviazioni solo a lui note, poi si astraeva, socchiudeva gli occhi godendosi la musica e riflettendo. Conosceva tutte le buone trattorie da camionisti lungo l’autostrada sull’Appennino, e quando non eravamo pressati da appuntamenti all’arrivo, adorava fermarsi per gustare una costata con un buon bicchiere di vino, seguiti da un buon sigaro prima di riprendere il viaggio. Magari previa telefonata a qualcuno della comunità del luogo, perché ci raggiungesse e così, durante il convivio, potesse sentire come andava la vita, impartire paterni consigli e dirimere questioni.
Aveva i suoi piccoli difetti: non essendoci ancora il cellulare, mi faceva fermare assai spesso nelle aree di servizio per telefonare dalle apposite cabine. Data l’enorme mole di pensieri anche di tipo organizzativo che aveva in testa, spesso e volentieri dimenticava la sua preziosa agenda sulla mensola sotto il telefono, sicchè si era inevitabilmente costretti a fare una precipitosa inversione di marcia al casello successivo per tornare a recuperarla. Non sopportava chi rallentava inutilmente il traffico. Non dimenticherò mai quella volta presso Barberino del Mugello – era estate – quando un camion davanti a noi si mise a superarne un altro. Poiché si era in salita, il sorpasso fu lunghissimo e lentissimo. Quando potemmo sorpassare a nostra volta (eravamo su una potente Alfa 1750), arrivati all’altezza del fedifrago…tirò giù il finestrino cominciando a indirizzare al camionista inequivocabili gesti che alludevano alla sua mancanza di comprendonio e di civiltà. Naturalmente alla piazzola successiva ci dovemmo fermare per la solita telefonata. Neanche fossimo nel film “Duel”, ecco svoltare nella nostra piazzola il camion in questione, con un vero e proprio gigante alla guida. Tra le sue proteste lo trascinai dietro la cabina per nasconderci alla vista dell’energumeno.
Ci eravamo conosciuti intorno al 65, quando io ero entrato a far parte della segreteria del Movimento. Eravamo a Varigotti per uno degli esercizi spirituali condotti da lui. Poiché teneva molto alla contemplazione del bello, verso sera ci faceva salire in silenzio per una mulattiera per assistere alla messa in una piccola cappella medioevale costruita su un poggio a picco sul mare.
Mi venne l’idea di farmi prestare da un elettricista del luogo un cavo di 200 metri, così da portare la corrente fin lassù prendendola dal casello della ferrovia sottostante, per alimentare quattro faretti nascosti tra le antiche pietre. Una sera, quando la processione superò la sella imboccando il sentiero che scendeva alla cappella, accesi a sorpresa le luci, suscitando un lungo mormorio di stupore. Non volle interrompere la consegna del silenzio, ma una volta tornati, durante la cena volle fare un caloroso e riconoscente brindisi all’idea e a chi l’aveva avuta. Da quel momento, anche in seguito ad altre mie iniziative nel campo della creatività (da Radio Supermilano alla cooperativa discografica dell’Ippopotamo, dal coordinamento dei cantautori alle tournèe degli spettacoli di Testori) mi chiamò a partecipare al Centro del movimento come coordinatore delle attività artistiche. Non dimenticherò mai quando a Viterbo organizzammo il primo incontro nazionale degli artisti. Stavo al tavolo tra lui e don Negri, e avevo preparato un intervento. Lui era tra il curioso e il preoccupato, ben sapendo quanto non fosse facile parlare e convincere in occasioni del genere, sapendo inoltre che era la mia prima volta. Dopo le mie prime frasi si rilassò, si rivolse a don Negri facendo in modo che tutti sentissero: “ehi, il ragazzo ha della stoffa…però adesso deve ricominciare daccapo perché per l’emozione sta parlando troppo in fretta…e invece vogliamo ascoltare bene cosa ha da dirci”. Così facendo mise me e l’intero uditorio nella migliore disposizione d’animo.
Il nostro rapporto era mediato soprattutto dalla musica. Occorre sapere che accompagnarlo nei viaggi era da tutti considerato un privilegio, per godere soprattutto della sua parola e dei suoi consigli. Lui non si sottraeva mai a questo ulteriore impegno, ma io sapevo che a lui piaceva soprattutto stare in silenzio ascoltando musica, nei percorsi a volte lunghissimi (una volta facemmo quasi senza fermarci se non per qualche momento di riposo in qualche piazzola, Milano-Roma-Rimini-Milano). Così preparavo cassette registrate con Bach, Beethoven, Schubert, Canti Gregoriani…ma anche Keith Jarrett, che per lui fu una vera scoperta.
Dopo quattro ore di musica e silenziose riflessioni, era lui a dire: “parliamo”. E l’ora che seguiva – insieme a quelle di tanti altri viaggi – costituisce il dono più grande che abbia mai ricevuto nella vita: una direzione spirituale che ha impresso un segno indelebile nel mio cuore e nel mio destino. Non faceva mistero di prediligere un approccio che a me veniva naturale, sicuramente dovuto a queste frequentazioni: conquistarsi un posto nel mondo e testimoniare ad un tempo i propri ideali grazie al proprio impegno personale, e non sfruttando l’appartenenza al movimento, come capitava ad alcuni allora, e oggi ancora più spesso, specie in politica.
Spesso parlavamo di questo, e ogni tanto mi lamentavo pure di qualcuno che ritenevo strumentalizzasse troppo l’appartenenza al Movimento, con inevitabile detrimento dell’immagine complessiva se poi i suoi comportamenti non erano adeguati. Mi invitava ad avere pazienza, a rispettare i diversi carismi…ma al ritorno inevitabilmente volavano le reprimende, perché conoscendomi assai bene sapeva che le mie non erano delazioni, ma sincere preoccupazioni per atteggiamenti ben diversi dalla sua idea di apostolato, e che lui stesso si sarebbe premurato di stigmatizzare. Ogni tanto, oggi, visti i miei capelli bianchi, mi permetto di dire a qualche giovane politico troppo ambizioso e rampante: “ah, se il Gius fosse ancora tra noi, ti avrebbe già stropicciato per bene le orecchie”…E immediatamente mi pare di vedere il suo abituale gesto con la mano come a dire “lascia perdere, non ti amareggiare, tu guarda avanti”, e di sentirlo sospirare come un tempo: “ad majora”.