Gianni Vattimo annuncia su La Stampa del 23 febbraio che “la metafisica è finita”. Per farlo non tralascia di citare Nietzsche, maestro della critica radicale alla metafisica, di cui sottolinea il pensiero: la filosofia “arriva a riconoscere l’idea stessa di verità come favola”, dunque è breve il passo alla scoperta della “verità come finzione”.



Questo piacerà a molti filosofi; ma a tanti che fanno scienza la cosa non andrà giù. Sembra un paradosso, ma per lo scienziato la metafisica è un must. La metafisica intesa come desiderio di capire, dunque di trovare la verità; e come certezza che questa verità esiste, prova ne siano le leggi della natura senza riconoscere le quali e senza basarsi sulle quali, la scienza non regge. E intesa come esperienza dura ma vera che la mente non ha il potere di arrivare al cuore delle cose (“Tutte le immagini portano scritto: Più in là”, recitava Montale, e potremmo metterlo sull’entrata di ogni laboratorio chimico).



Già, il cuore delle cose: tutto quello su cui si basa la scienza, che pur usiamo e studiamo ogni giorno, si basa su fattori indefinibili; in altre parole, costruiamo con mattoni che non solo non conosciamo, ma che ammettiamo di non  poter conoscere. Basti pensare che “cose concrete” come un punto, una retta, un piano, per la matematica e la geometria sono indefinibili, cioè non esiste una definizione, o, detto in altri termini, ne usiamo ma non sappiamo cosa sono. Provate a definirli, e poi ne parliamo… E tempo e spazio, concetti senza cui non potremmo né parlare né muoverci, provate a dire cosa sono! Ci dicono che non sappiamo cosa è lo spirito… provate voi invece a definire cosa è la materia.



Certo, siamo orgogliosi delle nostre conquiste, ma come la scienza di 100 anni fa oggi è preistoria, tra 100 anni le nostre certezze mediche e biologiche saranno fumo: in che modo, non lo sappiamo, ma è molto facile che i nostri nipoti pensando a chi viveva all’inizio del 21° secolo sogghigneranno, un po’ pensando ad un mondo in cui si usavano telefoni cellulari e su curavano le malattie con gli antibiotici. Sentiamo ogni giorno crollare le certezze e vederne crescere altre: un bel mistero!

Caro professor Vattimo, è proprio un mistero la realtà; tanto che inchinarci “al cielo stellato sopra di me e alla legge morale dentro di me”, come diceva Immanuel Kant, non è fideismo, ma riconoscere che siamo piccole pulci in un microscopico pianetino sperduto in qualche parte dell’universo ma che al tempo stesso sentiamo ogni intoppo o gioia come “catastrofi” o “successi galattici”: e sono vere entrambe le cose, la nostra piccolezza cosmica e la nostra grandezza morale, cioè è vero che siamo fatti di due nature unite ma qualitativamente diverse.

Riconoscerlo è ammettere che poco davvero sappiamo o sapremo mai – direbbe Socrate – perché quello che c’è da conoscere è fatto anche di dimensioni e qualità diverse da quello che noi possiamo destrutturare e analizzare. Pensate solo come è qualitativamente diverso dal nostro vissuto l’universo visto in quattro dimensioni di Einstein. E l’animo scientifico ricerca la verità, ma non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente diversa da quello che abbiamo in testa, altrimenti è una ricerca che scava dentro il “già noto”.

Una metafisica (viva o morta che sia) che parla di un mondo di cui il nostro è solo una brutta copia ci interessa poco, perché  il cristianesimo ci insegna ad inchinarsi al reale che si vede al reale che non si vede, perché sono entrambi segni e parte di un Disegno buono. Se invece dire metafisica è affermare che esista una “verità”, un “significato”, allora possiamo star tranquilli: gode di ottima salute. Se non ci fosse la verità non si muoverebbe la scienza a cercarla, se non ci fosse, non potremmo condannare un malvagio per la sua cattiveria, se non ci fosse, non avremmo nemmeno la certezza che facendo cadere una mela, andrebbe a finire sul tappeto, e che  fatte salve le dimensioni e le velocità (e la presenza del tappeto), questo vale anche su Marte o sulla luna. La verità esiste. E la realtà ne è la porta.