Sei ostetrici e ginecologi su dieci (il 64%) degli ospedali lombardi è obiettore di coscienza, così come il 42% degli anestesisti e il 43% degli infermieri. Un dato positivo, si penserà. Macché: per Sinistra ecologia e libertà la dinamica è assimilabile a uno scandalo, quasi un reato. Chiara Cremonesi, consigliera del partito del sindaco Pisapia, Sel, ha denunciato tali pratiche “scellerate” – un medico che, orrore, non vuole sopprimere un feto – lamentando, in particolare, il prodursi di due inconvenienti. Ovvero, la migrazione in ospedali diversi da quello di riferimento, in genere verso quelli milanesi; e il fatto che il numero complessivo di interruzioni di gravidanza è diminuito nel 2010, passando da 19.700 a 18.959; ma soprattutto fra le donne italiane. Quindi? Secondo la Cremonesi non c’è che una strada da seguire: eliminare l’obiezione di coscienza. Abbiamo chiesto a Filippo Vari, giurista, cosa ne pensa.
Esiste un diritto ad abortire?
No. Il legislatore ha previsto che esclusivamente in presenza di determinate condizioni la donna possa interrompere la gravidanza volontariamente. Tante volte la giurisprudenza e la dottrina hanno chiarito il punto.
Di quali condizioni parla?
Di quelle legate alla necessità di tutelare la salute della donna.
Eppure, sovente, l’aborto non sembra legato in alcun modo ai rischi per la sua salute.
Si tratta evidentemente di abusi.
L’obiezione di coscienza, invece, è un diritto?
Anzitutto, esiste il diritto alla vita del concepito, protetto dalla Costituzione, che va tutelato. L’obiezione di coscienza, certamente, è anch’essa un diritto, che ha fondamento costituzionale. La Consulta ha, infatti, sottolineato più volte che la proiezione della coscienza individuale ha tutela in virtù, in particolare, dell’articolo 2 della Costituzione, che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo. Oltretutto anche la legge 194 prevede tale diritto. Il personale sanitario, quindi, non può essere obbligato a compiere un atto così grave. L’importanza dell’obiezione di coscienza, oltretutto, è stata riconosciuto anche, di recente, in sede europea, in particolare, in una risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.
Esistono deroghe a tale diritto?



L’unico caso in cui la legge stessa prevede l’impossibilità di invocare l’obiezione di coscienza è quello in cui, data la particolarità delle circostanze, l’intervento del personale sanitario è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. Si tratta, quindi, di uno stato di necessità assoluto. 
La consigliera lamentava anche l’aumento dei casi di coscienza, legandoli a presunti condizionamenti da parte delle strutture sanitarie lombarde.
Il dato dipende da altri fattori: le moderne tecnologie rendono sempre più evidente come la vita sia tale sin dal concepimento. Chi è medico difficilmente non se ne accorge.
Crede che, sempre come sostiene la consigliera, sia opportuno prendere in considerazione la regolamentazione del diritto all’obiezione di coscienza, se non addirittura la sua completa eliminazione?
Eliminare o restringere l’obiezione di coscienza sarebbe un atto estremamente grave. Obbligherebbe i medici a comportarsi come automi, a esercitare la professione in contrasto con  la propria coscienza. Oppure determinerebbe delle discriminazioni inaccettabili, fondate sulle convinzioni personali dei medici, vietate da ogni normativa vigente: non è legittimo prevedere, ad esempio, concorsi o posti in ospedale a cui avrebbero diritto di  accedere solamente medici non obiettori.



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