11 marzo 2012. E’ passato un anno da quando un terremoto di magnitudo 9.0 e il successivo tsunami colpirono la regione di Tohoku in Giappone. Alle 14,46, in diverse parti del Paese molti hanno osservato un minuto di silenzio e il terremoto di Tohoku è stato al centro di tutte le trasmissioni televisive del pomeriggio. Quel giorno ha cambiato la vita di molte persone in Giappone: di chi ha sofferto di più perché direttamente colpito dall’evento, ma anche di chi vive in altre parti del Paese, compresa Tokio. Pensando a quel giorno e agli avvenimenti successivi vengono alla mia mente molti pensieri, ma vorrei concentrarmi su tre fatti: Fukushima, la ricostruzione a Tohoku e l’atteggiamento delle persone.
Fukushima era una delle tante prefetture del Paese, sconosciuta alla maggior parte di chi vive fuori del Giappone. È una delle zone che io preferisco, per le sue montagne e i suoi bei laghi; ora, purtroppo, è associata alla fusione nucleare, alle radiazioni e al pericolo.
Immediatamente dopo il disastro nucleare, si creò presso il pubblico grande confusione, ansietà e paura, dato che nessuno sapeva cosa stesse succedendo esattamente. Qualcuno fuggì all’estero, altri si spostarono nella parte occidentale del Giappone, io rimasi a Tokio solo perché pensavo che fosse quello che dovevo fare, non si poteva bloccare la vita del Paese.
Oggi, le preoccupazioni sono rimaste soprattutto riguardo ai prodotti agricoli, ma ora sappiamo molto di più sul problema delle radiazioni, su come dobbiamo comportarci e a cosa dobbiamo stare particolarmente attenti. Il processo di raffreddamento e arresto di questi reattori richiederà decenni e possiamo solo sperare che non vi sia un altro terremoto in quell’area che possa danneggiare questo processo. Dobbiamo essere grati alle migliaia di persone che stanno lavorando attualmente nell’impianto.
Per quanto riguarda la regione di Tohoku, in ottobre sono stata nell’area colpita dallo tsunami per prestarvi la mia opera come volontaria. Sono passati cinque mesi, ma oggi, seguendo i programmi televisivi, non ho visto grandi differenze rispetto allo scenario che vidi allora con i miei occhi. Ho sentito dire che molti stanno cercando di superare la loro tragedia e vogliono rimanere lì per ricostruire la loro città, ma mancano i posti di lavoro per ricominciare le propria vita. Gli aiuti vengono da ONG locali e da donazioni più che dagli interventi del governo. Il “piano di ricostruzione” ufficiale è stato approvato solo in febbraio…
La mia impressione personale è che si è fatto molto attraverso il volontariato e le donazioni, probabilmente tutto quanto si poteva fare, ma che ci sia bisogno di un maggiore impegno da parte delle pubbliche autorità per rivitalizzare quest’area. Conosciamo tutti le difficoltà finanziarie, in parte dovute alla crisi internazionale, ma spero, ed è questa la richiesta di molti nella regione di Tohoku e non solo, che il governo dia priorità al processo di ricostruzione nelle aree colpite. Mi auguro che tra un anno saremo in grado di guardare indietro e poter dire di avere fatto grandi progressi.
Infine, nell’ultimo anno abbiamo imparato parecchio. Le nostre vite sono indaffarate e giorni e mesi possono passare senza pensarci… ma questi giorni che noi riteniamo normali, possono essere spazzati via da un momento all’altro. Con la prospettiva che un grande terremoto possa colpire Tokio in ogni momento, siamo diventati molto più coscienti di cosa dobbiamo prepararci ad affrontare. Eravamo abituati a considerare questo possibile evento come una vaga minaccia, che “avrebbe” potuto colpire le nostre vite se fossimo stati sfortunati. Dopo il terremoto di un anno fa, a Tokio molti hanno cominciato a pensare a questa possibilità così seriamente che non sarebbero presi di sorpresa da un terremoto domani… o persino adesso.
Attraverso le storie che ci sono arrivate dall’area colpita dalla catastrofe e la nostra esperienza a Tokio, ci siamo anche resi conto di quanto sia importante il rapporto con chi ci sta a cuore, quanto sia importante dimostrarlo e apprezzare ogni nostro giorno molto più di quanto fossimo abituati a farlo prima.
(Saki Ito)