Si aprono le polemiche dopo che il Parlamento europeo ha votato a maggioranza l’approvazione della risoluzione sulla Parità di diritti fra uomo e donna. Polemiche che non riguardano certamente quello che la risoluzione indica nel suo titolo, e cioè la parità di trattamenti e la non discriminazione nei confronti delle donne. Quello che ha suscitato clamore portando i rappresentanti del Partito popolare a votare contro tale risoluzione (ma ci sono stati voti contrari anche nello schieramento di centro sinistra) è un punto, il punto sette compreso nel testo del documento. In tale punto si esprime “rammarico per l’adozione da parte di alcuni Stati di definizioni restrittive sulla famiglia con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli”. Un giudizio forte, che condanna tutti quei Paesi come l’Italia che non riconoscono le unioni e tanto meno il matrimonio fra omosessuali. La risoluzione come detto è passata a maggioranza, ma il dibattito è appena cominciato. Quello che ci si chiede è se sia vincolante per i singoli Paesi tale giudizio e perché averlo inserito in un documento che trattava, almeno apparentemente, tutt’altro argomento.
Secondo Cesare Mirabelli, docente di Diritto costituzionale nella Pontificia Università Lateranense di Roma, ci troviamo davanti a un documento di carattere politico. “La stessa espressione di rammarico usata nel testo” spiega Mirabelli “è una espressione puramente politica che giudica l’ipotesi di famiglia basata sul matrimonio come lo prevede la nostra Costituzione”. Quando si parla di discriminazione, si chiede Mirabelli? Una discriminazione non discende necessariamente al riconoscimento o alla creazione di un matrimonio fra omosessuali: “La nostra Costituzione è ugualmente ispirata a un principio straordinariamente forte di uguaglianza eppure non prevede, anzi non permette tali matrimoni. Nonostante ciò non si può dire che la nostra Costituzione sia lesiva del principio di uguaglianza”.
Professore, la risoluzione votata dal Parlamento europeo apre molti interrogativi. Dal punto di vista legislativo, ad esempio, essa è vincolante?
Assolutamente no. Individua un orientamento, ma non è un atto in alcun modo vincolante. Non lo è per sua natura, ma non lo è anche per l’andamento, il motivo che la ispira.
In che senso? Di fatto, quello che è in discussione è un punto, il 7, di un paio di righe all’interno di un testo molto ampio e complesso.
Infatti. Colpisce l’inserimento di questo tema, il matrimonio fra omosessuali, in un contesto che invece per altri aspetti è positivamente interessante nei suoi contenuti: si parla di eguaglianza fra uomo e donna, di garanzie nel mondo del lavoro per la donna, di molti aspetti di carattere sociale. Ci sono invece alcuni punti che sembrano introdotti un po’ forzatamente in questo ambito e secondo una linea culturale che vede l’identità di genere come un elemento di rottura della diversità dei sessi, attribuendo rilievo a questo elemento di carattere non biologico.
Una specie di azione di disturbo messa lì bellamente, per provocare, si direbbe.
Personalmente richiamerei l’attenzione anche sul punto 5 del testo nel quale si dà una lettura direi puntuale. Si invita cioè la commissione di Stati membri a elaborare proposte per il riconoscimento reciproco delle unioni civili tra i Paesi in cui vige una legislazione in materia.
Non l’Italia, ad esempio, che non ha legislazione del genere.
No, solo laddove questa unione è riconosciuta, dove sono riconosciute le famiglie omosessuali. Viene cioè detto che bisogna garantire l’uguaglianza di trattamento in singoli aspetti, ma solo tra i Paesi in cui vige legislazione in materia, quei Paesi dove c’è riconoscimento della famiglia omosessuale e delle unioni civili. Attenzione, perché anche qui non si parla di matrimonio fra omosessuali: si parla di unioni civili e famiglie omosessuali con una diversità lessicale.
Torniamo al punto 7, quello maggiormente contestato.
Nel punto 7 si tocca il tema della famiglia e non il matrimonio fra omosessuali. Si parla della considerazione della famiglia e la negazione di tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli. Qui però è da precisare anche qualcosa di diverso: la filiazione naturale è filiazione della coppia quando vi è una capacità naturale.
E si parla di negazione di tutela giuridica.
C’è la considerazione e l’ipotesi che venga negata la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso, ma ciò non significa necessariamente riconoscere un matrimonio tra coppie dello stesso sesso. C’è infatti una molteplicità di rapporti che possono avere una autonoma rilevanza come quelli tra coppie dello stesso sesso.
Sembra di capire dalle sue parole che oltre all’inserimento di un punto che centrava poco o niente con il documento originale, qualcuno abbia cantato vittoria senza averne motivo.
Diciamo che questo punto 7 manifesta un indirizzo culturale preciso, ma che come documento non è vincolante. Ha degli aspetti di ambiguità, non obbliga nessuno a riconoscere le unioni gay e prevede che laddove i Paesi riconoscono le unioni civili ci sia una parità di trattamento e di riconoscimento al di là del diritto del proprio Paese. Su questo argomento c’è già una giurisprudenza delle Corti di giustizia dell’Unione europea.
E il rammarico espresso?
L’espressione di rammarico è una espressione puramente politica nell’ipotesi in cui ci sono non ipotesi restrittive di famiglia, ma ipotesi di famiglia basata sul matrimonio come la nostra Costituzione prevede. Esprime in sostanza, questo punto 7, un indirizzo culturale che si sta manifestando in più Paesi, ma non presuppone un riconoscimento del matrimonio tra omosessuali. Dà rilievo alle coppie e alle unioni civili e sotto questo aspetto sollecita una disciplina di questo fenomeno.
In un altro passaggio però l’assemblea europea ricorda che il diritto va applicato senza discriminazione sulla base di sesso o orientamento sessuale in conformità della Carta dei diritti fondamentali, Carta firmata anche dal nostro Paese. Ciò ci sottopone a qualche altra forma di vincolo?
Qui entriamo in un terreno di interpretazione più delicato, perché certamente non ci possono essere discriminazioni sulla base del sesso e sulla base dell’orientamento sessuale. Si tratta però di intendersi cosa significa questo aspetto.
Cioè?
Quando si può dire che c’è una discriminazione? Non ne discende necessariamente il riconoscimento e la creazione di un matrimonio fra omosessuali. La nostra Costituzione è ugualmente ispirata a un principio straordinariamente forte di uguaglianza eppure non prevede, anzi non permette questo tipo di matrimonio. Ma non si può dire che la nostra Costituzione sia lesiva del principio di uguaglianza.