Per una manciata di voti (20), in seno al Parlamento europeo non è stato possibile cancellare il punto 7 delle risoluzione sulla “Parità tra uomo e donna”. Ai Popolari è mancato il fuoco di sbarramento necessario per emendare dal testo quel passaggio in cui si lamenta la presenza, nell’ambito delle legislazioni nazionali, di definizioni restrittive del concetto di famiglia tali per cui viene negata tutela giuridica alla coppie omosessuali e ai loro figli. La questione è controversa e per dirimerla ilSussidiario.net ha chiesto un parere a Francesco D’Agostino, Docente di Filosofia del diritto all’Università di Roma Tor Vergata. «Non c’è bisogno, anzitutto, di scomodare l’etica per poter affermare se il matrimonio omosessuale abbia legittimità pubblica; ci sono istituzioni che, di per sé, non hanno infatti rilevanza etica ma sociale, come le associazioni sportive». Posto, dunque, che la domanda circa l’eticità o meno del matrimonio gay sia lecita, questa non dovrebbe essere competenza, secondo il professore, del diritto positivo. «E’ un campo ove il Parlamento non ha alcuna autorità, come non ce l’ha nessun’altra istituzione». Detto ciò, va fatta un’importante precisazione: «Valuto certamente eticamente migliore lo stile di vita di uno studioso, piuttosto che quello di uno scioperato che dilapida il patrimonio familiare. Entrambi, tuttavia, dal punto di vista del diritto sono considerati allo stesso modo». Fatte queste premesse, è doveroso sottolineare come «iniziative di questo tipo – dice  D’Agostino – rallentano il processo di integrazione europeo. L‘Ethos familiare, infatti, ha una radice plurimillenaria e quando un parlamento con una delibera chiaramente ideologica pretende di incrinarla fa calare la fiducia negli ideali di unificazione anche in quei cittadini che vi hanno sempre creduto». Ecco perché: «il rapporto gay non è di nessun interesse per il diritto, come non lo è l’amicizia. Niente, in sostanza, che non abbia rilevanza pubblica». Il matrimonio viene quindi riconosciuto e tutelato per la sua funzione sociale. «E’ quell’istituzione che garantisce l’ordine generazionale e costruisce la famiglia come identità intergenerazionale. Ovvero: assicura la continuità del sistema familiare non solo in senso orizzontale (marito-moglie) ma anche verticale (padre-madre, figlio-figlia). Solo una società che fantascientificamente fosse sterile non avrebbe alcuna ragione per riconoscerlo». 



Da questo punto di vista, «poiché il matrimonio gay non è finalizzato alla procreazione, non si vede ragione per il suo riconoscimento giuridico». Si diceva che tale negazione non toglie nulla dal punto di vista dei diritti personali. «Nulla vieta loro, infatti, di fare testamento o un’assicurazione a favore del partner, garantirsi economicamente l’un l’altro e attivare tutte le forma di tutela reciproca possibili immaginabili». 

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