A Sierre, nel Cantone Vallese, in Svizzera, martedì notte, intorno alle 21.15, un pullman con a bordo due scolaresche belghe si è schiantato contro la parete di una galleria autostradale. Un terribile incidente costato la vita a 28 persone, tra cui 22 bambini. Altri 24 sono rimasti feriti, alcuni in modo grave (3 sono in coma). Il commento di Mauro Grimoldi, insegnante, a questo tragico evento.



Santa Maria, madre di Dio, prega per noi adesso e nell’ora della nostra morte.

È questa una mattina che non c’è scuola. Tutti, quanti?, sono usciti a schiera, tra i bianchi pendii innevati, lanciando sugli sci o sulle slitte i loro dodici anni verso il futuro, verso il destino, mentre il tempo, silenzioso e implacabile, si tende, attraversando la quaresima, verso la Pasqua.



Improbabile che qualcuno se ne sia accorto, ma, anche lì, tra le cime della Svizzera, c’era forse d’autunno ancora qualche mazzo rosso di bacche, e qualche fior di primavera bianco. Ma saltava sui rami nudi il pettirosso? E la lucertola mostrava il capino tra le foglie aspre del fosso?

Non c’è in faccia Urbino ventoso, ma è un fatto che ognuno di quei figli della terra belga mandava da una balza la sua cometa per il ciel turchino.

Gli aquiloni? Sì, gli aquiloni! Un pensiero, un desiderio, un messaggio a casa: qui è tutto bellissimo, mamma, tutto! Il cibo, il tempo, i compagni, i professori, la vita. Solo mi manchi tu, mamma. Ma domani ci vediamo, domani, domani mattina.



 

Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,

risale, prende il vento; ecco pian piano

tra un lungo dei fanciulli urlo s’inalza.

S’inalza; e ruba il filo dalla mano,

come un fiore che fugga su lo stelo

esile, e vada a rifiorir lontano.

S’inalza; e i piedi trepidi e l’anelo

petto del bimbo e l’avida pupilla

e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.

Più su, più su: già come un punto brilla

lassù lassù…

Ma ecco una ventata

di sbieco, ecco uno strillo alto…

A uno a uno tutti vi ravviso,

o miei compagni!

 

Sconosciuti compagni, ma fratelli nel destino.

E anche io, a uno a uno, ravviso i volti e i nomi dei giovani allievi che prima di me, prima di noi, hanno conosciuto l’ora della morte. Simone steso sul letto che teneva tra le mani la sua laurea d’architetto appena conseguita. Riccardo che appena adolescente ci ha portati quasi a forza dentro la maturità della vita. Stefano che poco prima di andar via, seduto in mezzo al sinedrio a sostenere l’esame di Stato, insegnava a noi, farisei da strapazzo, l’ardua geometria del cosmo, l’incalcolabile curvatura dell’amore. Marco che la sera prima di scivolare in moto sulla strada d’ogni mattina lasciò scritto, a matita, sul muro accanto al letto: perché cercate tra i morti colui che è vivo. E Andrea figlio divenuto indicibilmente padre. E i papà, le mamme, gli amici, gli autisti, i maestri…

Nostra sorella morte corporale viene d’improvviso ed è spietata, se in poche ore vi ha portati via da noi, addolorati e attoniti, verso il vostro dies natalis.

L’uomo non si conosce che alla fine, è scritto nel libro del Siracide. Chi vi ha amati e vi ama potrà leggere ora la profezia, il presentimento che colava lungo la fronte e tra le pieghe della schiena, quando, appassionati e inconsapevoli, prendevate commiato dall’ultimo pallone macinando a rotta di collo il più agevole corridoio d’erba bruciata, lanciati verso la rete: smarcarsi, attendere il passaggio, fermare la palla, guardare, scattare, guardare ancora, passare, portarsi al rendez vous, attendere, liberarsi dalla stretta, rubare il tempo, lasciare l’uomo sul posto, fingere una sosta, scartare di lato e correre a rotta di collo l’ultimo più agevole corridoio d’erba bruciata, verso la porta, il varco, la fenditura.

Ci hanno ospitati e ci ospiteranno ancora diversi selciati lustri di pioggia, nel giorno viola del vostro funerale, noi, figli d’ogni sorta, venuti, tornati, forse per la prima volta giunti nella Chiesa in tanti, mentre ci lambiscono saltuarie vetture, frenanti impacciate prima di svoltare, chissà dove dirette, in ogni lembo di cintura metropolitana che il pungiglione della morte ha visitato, come a suo tempo il luogo detto cranio.

Cambiano i tempi, i luoghi, le abitudini, non l’antica cooperativa di pescatori che anche oggi anche qui getta le sue reti e tira su pesci, tira su pesci, tira su pesci…

Perché di tutto si può fare a meno, non della Chiesa.

E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». (Mc 12, 41 – 44)

«Chiamati a sé i suoi discepoli» (Vangelo, Mc 12, 43) Gesù li aiuta a comprendere il gesto della vedova. “Cosa traspare” – ha detto recentemente il Cardinal Scola – “da questo gesto di Gesù? Il legame solido tra i membri di quella prima compagnia da Lui generata. Una parentela più potente di quella della carne e del sangue, una fraternità in cui si anticipa – come traspare nella Santa Eucaristia – la vita del Paradiso. Cristo chiama i Suoi a fare l’esperienza inaudita che la consistenza dell’io si chiama comunione. Comunione come stima a priori per l’altro, perché abbiamo in comune Cristo stesso. Comunione disponibile a ogni sacrificio per l’unità affinché il mondo creda. «L’espressione matura del condividere cristiano è perciò l’unità fin nel sensibile e nel visibile. Questa fu l’espressione del tormento finale di Cristo nella sua preghiera al Padre, quando in tale unità sensibile e visibile indicò consistere la decisiva testimonianza dei suoi amici» (L. Giussani, Il cammino al vero è un’esperienza, 52-53). Qui sta la vittoria sulla vanitas. Qui comunione è liberazione”.

Il vostro banco di scuola è stato un marasma bianco. Lì abbiamo interrogato invano gli astri per indovinare il viaggio dell’uomo. Adesso, sotto la luna, i dromedari masticano ironici sulla nostra corta visuale. A voi è toccato vincere la tentazione d’ogni nostra goffa chiromanzia.

 

Santa Maria, mamma di Cristo,

Oggi che piove il cielo

E lucida è la terra

Ti sporgi verso noi,

Ricevendoci,

Porgi ancora la guancia,

Mamma sapiente

Di tutte le voci che sussurrano

Al tuo orecchio

Come sussurrò il figlio

Quando dalla croce

Ti fece mamma di Giovanni

E d’ognuno.

Prega per noi, ora, e nell’ora della nostra nascita.