La Corte Suprema dell’Argentina dice sì all’aborto per i casi di stupro. I magistrati di Buenos Aires si sono trovati a dover decidere sul caso di A. G., una 15enne che era stata violentata dal patrigno, un ufficiale di polizia, e che aveva interrotto la gravidanza. Nel Paese sudamericano l’aborto è illegale, ma il Codice penale prescrive che “se la gravidanza è stata causata da uno stupro ai danni di una donna idiota o demente, occorrerà chiedere il consenso del suo rappresentante legale per praticare l’aborto”. A. G. è in realtà capace di intendere e di volere, ma la Corte Suprema ha deciso ugualmente di applicare questa deroga, che ora rischia di spianare la strada a una legalizzazione completa dell’aborto. Ilsussidiario.net ha intervistato Tommaso Scandroglio, docente di Filosofia del diritto e autore dei libri “La legge naturale. Un ritratto” e “Questioni di vita & di morte. Dieci interviste”. Per l’esperto, “quello della 15enne argentina rappresenta un caso limite, e in passato è avvenuto di frequente che episodi come questo siano stati utilizzati per scardinare la legislazione sull’aborto. Lo fu in Italia per l’incidente della diossina di Seveso, e anche negli Stati Uniti la legalizzazione iniziò con il caso di Jane Roe che mentì raccontando di essere stata violentata”.



Da un punto di vista morale e giuridico, che cosa ne pensa dell’aborto per i casi di stupro?

Si dice spesso che il bambino nato in seguito a una violenza sessuale sia il figlio dell’odio e che quindi non vada fatto nascere. Ma l’odio e l’amore c’entrano con l’educazione, e non con il momento del concepimento o della paternità. Sarà figlio dell’odio o figlio dell’amore a seconda di come sarà educato, cioè in maniera amorevole o meno. In secondo luogo non si capisce perché il bambino debba pagare per un atto criminale compiuto dal padre biologico, soffrendo di questa sanzione al posto dell’uomo adulto. Anche per la madre l’aborto non è un gesto riparatorio, anzi aggiunge danno su danno. La sindrome post-abortiva riguarda infatti anche e soprattutto le donne vittime di violenza sessuale, e l’eliminazione del nascituro non elimina il trauma, non fa dimenticare lo stupro, ma in realtà lo aggrava ancora di più.



Come fa a esserne certo?

Diversi rapporti scientifici confermano che la nascita del figlio, anche per le donne che hanno subito violenza, è un momento di grande riscatto. Qualora lo voglia riconoscere e non scelga invece di darlo in adozione, il bambino che viene al mondo non ricorderà continuamente alla madre il dolore della violenza, ma sarà la soluzione per riconciliarsi con quel momento, darvi un senso e superarlo. Per tutte queste ragioni, da un gesto di odio come lo stupro c’è la possibilità di trasformare la nascita del figlio in un gesto d’amore.



 

La sentenza riguarda però una ragazzina di 15 anni violentata dal patrigno, quindi nello stesso tempo è un incesto. Non trova che si tratti di un caso limite?

 

Di fronte alla considerazione che nel ventre della madre c’è sempre un essere umano, non c’è caso limite che valga per legittimare un aborto. Anche perché il caso limite è sempre utilizzato come un grimaldello per spianare la strada alla legalizzazione dell’interruzione di gravidanza in tutti gli altri casi. Questa è ancora una volta la strada che è stata intrapresa in Argentina. Anche negli Stati Uniti, con la sentenza Roe contro Wade, il dibattito sull’aborto partì da uno stupro. In realtà poi la stessa presunta vittima ammise che era tutto inventato. Quindi si parte sempre da un caso limite, basta pensare alla vicenda della diossina di Seveso. I primi aborti politicamente e giuridicamente autorizzati in Italia prima della legge del 1978 riguardarono quelli delle donne brianzole che erano incinta quando il reattore Icmesa scoppiò. Fu lì che si aprì il varco alla legalizzazione. All’inizio si pensa sempre di crepare la diga, perché si sa che è lì che l’acqua farà la pressione maggiore. E quindi si aprirà sempre di più questa crepa, fino a quando l’intera diga crollerà.

 

Quali sono le motivazioni principali per cui una donna sceglie di abortire?

Uno studio scientifico statunitense degli anni ’90 rivela che il 25% delle donne, cioè la maggioranza relativa, alla domanda sul perché abbia abortito risponde semplicemente: “Perché non è il momento giusto per avere un figlio”. Mentre gli aborti per problemi legati alla salute della donna o del feto, sia psicologica sia fisica, riguardano solo il 3%.

 

Secondo Human Rights Watch, in Argentina ci sono già tra 400mila e 600mila aborti illegali ogni anno. La sanzione penale dell’aborto è davvero una soluzione?

 

Occorrerebbe valutare l’attendibilità di questi dati, in quanto per definizione sugli aborti clandestini non si hanno testimonianze né documenti, e non si capisce bene come si facciano a ottenere queste stime. In Italia per legalizzare l’aborto nel 1978 si mentì ampiamente sul numero di interruzioni di gravidanza illegali. Occorre quindi essere molto attenti per quanto riguarda i numeri riportati. A livello giuridico inoltre, lo Stato non deve interrogarsi su quanto certi comportamenti siano diffusi a livelli clandestino, bensì solo sulla bontà o malvagità delle condotte in riferimento al bene comune. Il legislatore deve dunque chiedersi soltanto se il feto è un essere umano, perché se la risposta è affermativa l’aborto è un omicidio. Anche omicidi su persone adulte, furti e sequestri di persona avvengono in modo “clandestino”, ma nessuno ha mai pensato di legalizzarli. Lo Stato continua a perseguirli ben sapendo che molti di questi non saranno mai scoperti.

 

(Pietro Vernizzi)