Oggi la Chiesa cattolica celebra San Cirillo di Gerusalemme, nato nel 313 o nel 315 a Gerusalemme e morto nello stesso luogo nel 387. Fu teologo e vescovo e la sua memoria è celebrata anche dalla Chiesa ortodossa. Non abbiamo molte informazioni riguardo la sua giovinezza, e tutto ciò che abbiamo della sua biografia è dovuto a ciò che ci hanno tramandato Epifanio, Geronimo e Rufino, suoi contemporanei. Il vescovo Macario lo ordinò sacerdote nel 335 della Diocesi di Gerusalemme. Tra le varie correnti che dibattevano sul tema della divinità di Cristo, egli accolse quella di Eusebio di Cesarea, che mediava tra quella di Atanasio di Alessandria, quella che infine fu accolta dalla Chiesa, e quella di Ario. Al suo tempo Gerusalemme tornò ad essere una città d’interesse per i potenti di allora, e grazie a loro tornò a risplendere dopo anni di atroci violenze. In questa città aveva deciso di recarvisi la madre dell’Imperatore, Elena, che fece la sua visita nel 323, e poi più di 10 anni dopo, nel 335, l’Imperatore Costantino decise di far erigere proprio qui la basilica del Santo Sepolcro, dove San Cirillo, una volta divenuto vescovo poté predicare e svolgere i suoi compiti. Inoltre, con un nuovo Imperatore, Giuliano, si tentò di far tornare alla sua passata bellezza il Tempio di Gerusalemme, che circa 200 anni prima fu distrutto. Il 347 vede Cirillo divenire finalmente vescovo, nominato da Acacio, che era il patriarca di Cesarea. Il rapporto tra i due però non fu mai dei migliori, e iniziò a deteriorarsi poco dopo la nomina. Le dispute tra i due erano imperniante intorno a due principali questioni, di carattere amministrativo e teologico. L’astio provato nei confronti di Cirillo da parte di Acacio raggiunse il suo apice con la decisione, nel 358, di condannare il vescovo all’esilio. L’accusa mossa ai danni di Cirillo fu di aver venduto delle proprietà appartenenti alla Chiesa. In realtà l’accusa non era affatto infondata, dal momento che il vescovo si era davvero macchiato di questo reato. Dietro tutto ciò però c’era una motivazione più che nobile. Infatti i profitti guadagnati dalla vendita delle proprietà ecclesiastiche furono utilizzati da Cirillo per aiutare i poveri. L’anno dopo la condanna all’esilio, nel 359, Acacio fu deposto nel Concilio di Seleucia, alla presenza dello stesso Cirillo, che poté in questo modo far ritorno, anche se per un breve periodo, alla sua diocesi. Nel 400 però l’Imperatore Costanzo II, filo-ariano, condannò nuovamente all’esilio Cirillo, ma, nel 361, con la salita al potere di Giuliano, tutti i vescovi in esilio ebbero la possibilità di essere riammessi a Gerusalemme, e soprattutto alle loro precedenti cariche abbandonate. 6 anni dopo, nel 367, fu costretto a subire un nuovo esilio, molto più lungo rispetto a quelli passati, e infatti dura fino al 378. La lotta per la definizione della vera sostanza di Cristo fu molto lunga e tormentata, e, nel 381, Cirillo prese infine parte al grande Concilio di Costantinopoli, dove fu decretata l’adozione del Credo niceano, che da allora definì il contenuto della fede.
La definizione di Cristo come “ homoousios “, cioè della stessa sostanza di Dio, fu sottoscritta anche da Cirillo. Dopo tante discussioni e sofferenze a causa dei vari esilii, questo Concilio donò a Cirillo la serenità degli ultimi suoi anni di vita, trascorsi nella sua Gerusalemme, nella quale morì. Tra i testi che ci sono pervenuti di San Cirillo, importante è la lettera da lui inviata all’Imperatore Costantino, nella quale il vescovo descrive un bizzarro e incredibile evento di cui è stato testimone. Quando il suo episcopato era ancora agli albori, egli vide una grande croce comparire in cielo, posta tra l’orto degli ulivi e il monte Calvario. Da sottolineare è anche la “prima introduttiva”, posta all’interno dei sermoni della catechesi, che trattano tematiche come la penitenza, la fede e il peccato, ma soprattutto descrivono il contenuto del Simbolo battesimale.